La capacità di pensare se stessi e gli altri: la TEORIA DELLA MENTE

Educazione e sviluppo infantile

di Silvia Iaccarino

Per Teoria della Mente (ToM – Theory of Mind) intendiamo un complesso insieme di competenze che ci consente di attribuire, a noi stessi ed agli altri, stati interni quali credenze, desideri, emozioni, pensieri, aspettative, grazie a cui interpretare e prevedere il proprio comportamento (garantendo continuità all’esperienza del Sé) e quello degli altri.

La ToM (detta anche mentalizzazione o capacità mentalistica o comprensione sociale o funzione riflessiva) consente di:

  • attribuire stati mentali a se stessi ed agli altri
  • attribuire una causa al comportamento degli altri
  • predire il comportamento altrui
  • anticipare le conseguenze di eventi
  • guidare il proprio comportamento
  • regolare le emozioni, controllare gli impulsi
  • esperire se stessi come autoefficaci nel mondo

La ToM è una conoscenza intuitiva delle motivazioni che guidano i propri e altrui comportamenti e che consente al bambino di distinguere, man mano che cresce, tra i desideri e la realtà, tra la verità e l’inganno.

Attribuire ad altri degli stati mentali vuol dire dare senso ai comportamenti interpersonali e garantirsi un maggior grado di autoefficacia nella vita, anche grazie a più mature competenze socio-emotive e cognitive.

Acquisire la teoria della mente è una tappa fondamentale dello sviluppo infantile e che dovrebbe essere acquisita intorno ai 4 anni (salvo problematiche di sviluppo, come nel caso di attaccamento disorganizzato, per esempio e nel disturbo dello spettro autistico).

Verso i 2-3 anni i bambini riconoscono stati mentali come percezioni, desideri, emozioni, sulla base dei quali interpretano il comportamento umano e solo verso i 3 anni essi sarebbero in grado di raffigurarsi le azioni come il prodotto congiunto di desideri e credenze di chi agisce e che tali credenze possono essere sia vere che false (Arace, 2010).

In un primo momento vengono prese in considerazione solo le credenze vere, che corrispondono alla realtà. Un importante cambiamento avviene con la comprensione della “falsa credenza”, cioè comprendere che le azioni possono essere determinate da credenze erronee (vedi test della falsa credenza).

Anche lo sviluppo del lessico psicologico pare seguire questo percorso evolutivo: a due anni i bambini parlano di desideri come volere, ma solo verso i 3 anni usano verbi che si riferiscono alle credenze, quali sapere e pensare (Arace, 2010).

Nella prima infanzia gli studi si sono focalizzati sull’indagine degli elementi che possono essere considerati indicatori precoci della comparsa della ToM (vedi G. Cavalli, Tre anni straordinari, La Scuola, Brescia, 2007):

Agency: compare nei primi 6 mesi di vita ed è la capacità di percepire sé e gli altri come in grado di agire e produrre cambiamenti nell’ambiente.

 

Comprensione delle emozioni e delle intenzioni: il bambino sa leggere le emozioni sul volto altrui e verso i 9-12 mesi emerge la capacità di comprendere le intenzioni. I bambini riescono, ad esempio, a distinguere se un’azione è intenzionale o fatta per caso e ad imitarla, a comprendere se l’intenzione di un altro è differente dalla propria oppure a intuire, sulla base delle emozioni dell’altro, quali azioni verranno fatte.

Attenzione condivisa. I bambini nei primi 6 mesi di vita sono in grado di prestare attenzione all’adulto oppure all’oggetto: si tratta del periodo dell’intersoggettività primaria caratterizzata da relazioni diadiche. Dopo i 5-6 mesi, le relazioni divengono triadiche e il bambino può coinvolgersi con la madre e con l’oggetto: si tratta dell’intersoggettività secondaria, durante la quale il bambino è capace di coordinare la propria attenzione tra un oggetto e un partner sociale. L’attenzione condivisa compare in particolare verso i 9 mesi.

Riferimento sociale: verso la fine del primo anno di vita, il bambino utilizza le espressioni emotive sul volto dell’adulto come guida del proprio comportamento (vedi l’esperimento del “visual cliff” o falso precipizio: il bambino posto su un tavolo di plexiglas in cui viene creato un falso precipizio ottico, si ferma, guarda l’espressione della madre e in base a cosa vede – paura o incoraggiamento – decide se procedere o no). Nel riferimento sociale si evince che il bambino ha la capacità di comprendere che l’adulto è dotato di una mente indipendente dalla propria. Nel fare ciò il bambino coordina 3 attività differenti: attenzione condivisa (cerca lo sguardo dell’adulto); capacità di riconoscere l’emozione sul volto del caregiver, associandola alla situazione che sta vivendo; capacità di regolare la propria emozione e il proprio comportamento all’informazione ricevuta dall’adulto.

Intenzione comunicativa dichiarativa ( vedi Camaioni, Psicologia dello sviluppo): verso la fine del primo anno di vita il bambino richiama l’attenzione dell’adulto su un oggetto, non tanto perché faccia qualcosa, quanto piuttosto per condividere con lui l’interesse per l’oggetto stesso. In questa comunicazione, il bambino indica un oggetto/evento e il volto dell’adulto, finché questi guarda nella stessa direzione, spesso nominando o commentando. In queste sequenze il bambino non vuole utilizzare l’altro come strumento per soddisfare i propri scopi, ma intende influenzare lo stato mentale dell’altro relativamente a un evento esterno.

Gioco simbolico. Indica che il bambino è in grado di distinguere il piano della realtà dalla sua rappresentazione: i bambini sostituiscono un oggetto con un altro (una banana diventa una cornetta del telefono), attribuiscono per finta delle caratteristiche agli oggetti (l’orsetto ha il mal di pancia), immaginano qualcosa che non c’è (fanno finta di bere da una tazzina vuota).

Capacità di oggettivare il sé, intorno ai 18 mesi, indagata con la famosa prova della “macchia sul naso” (di fronte ad uno specchio, col naso macchiato di rosso, se il bambino tocca se stesso significa che ha imparato a riconoscersi, se tocca lo specchio non ancora).

Capacità di riconoscere il desiderio altrui, tra i 15 e i 18 mesi. Per esempio, se mostriamo ad un bambino che preferiamo mangiare un broccolo invece che biscotti e gli chiediamo di passarci da mangiare, a 14 mesi il bambino ci passerà i biscotti (ciò che lui mangerebbe), mentre a 18 mesi ci darà il broccolo (anche se ciò non corrisponde al suo desiderio).

La teoria della mente e la regolazione emotiva

Con regolazione emotiva si intende la capacità di modulare l’intensità e l’espressione delle emozioni in modo adeguato al contesto in cui si è inseriti e quindi di regolare le emozioni stesse con efficacia.

Nell’infanzia i bambini utilizzano maggiormente strategie interpersonali per la regolazione emotiva che vengono progressivamente interiorizzate, facendo sì che il bambino impari a regolare anche autonomamente le proprie emozioni.

La regolazione emotiva consente quindi di rispondere in modo appropriato, adattivo e flessibile alle esperienze emotive.

La ToM risulta collegata alla regolazione emotiva perché per poter gestire le emozioni bisogna innanzitutto saperle riconoscere, comprenderne le cause, coordinarle alle credenze ed utilizzare le emozioni dell’altro per regolare il proprio comportamento (vedi riferimento sociale).

Inoltre, la regolazione emotiva che viene svolta all’interno delle relazioni di attaccamento, è preludio/base, della capacità mentalistica.

Mentre, infatti, alcuni ricercatori sostengono che la teoria della mente si sviluppi attraverso meccanismi innati specializzati e riconducibili a precise aree del cervello, altri adottano un approccio costruttivista, puntando sul ruolo della costruzione sociale nello sviluppo della ToM. Secondo questa prospettiva, fattori che favoriscono lo sviluppo della capacità mentalistica sono:

  • Sensibilità materna;
  • Attaccamento sicuro;
  • Mind mindedness (E. Meins) del caregiver: specifica tendenza del caregiver a descrivere il bambino in termini di attributi mentali (uso del lessico psicologico) piuttosto che di comportamenti o con descrizioni fisiche. È la capacità del caregiver di considerare il bambino come un agente mentale, dotato di emozioni, intenzioni, desideri, pensieri, credenze (per esempio, una madre che dice al proprio bambino “Vuoi che ti cambi il pannolino?” anziché “Ti sei bagnato?” dimostra di trattare il proprio figlio come un agente mentale dotato di desideri)
  • Caratteristiche familiari (per esempio presenza di fratelli);
  • Qualità delle relazioni familiari (genitori-bambino, fratelli);
  • Qualità delle relazioni extra-familiari (rete sociale);
  • Pratiche familiari ovvero lo stile educativo autorevole dei genitori (parenting).

La capacità mentalistica è quindi una capacità basata sulle prime esperienze relazionali che viene poi automatizzata e diventa inconscia.

Lo sviluppo della ToM è un processo intersoggettivo ed una relazione di attaccamento sicuro è la strada principale che conduce il bambino alla comprensione degli stati mentali propri ed altrui. Tale funzione risulta fondamentale per lo sviluppo delle competenze sociali e per la regolazione emotiva.

“Alcuni bambini si aspettano di essere capiti dal punto di vista emozionale e sanno comunicare apertamente il proprio disagio, poiché hanno imparato che i loro sentimenti possono essere compresi, regolati, e pensati da un’altra mente. Riconoscono le loro emozioni, perché hanno fatto esperienza che gli altri si interessano al loro stato mentale, sono anche in grado di riconoscere molto meglio le emozioni altrui rispetto ad altri bambini. Per esempio, un bambino con attaccamento sicuro potrebbe mostrare empatia se vede un coetaneo piangere all’asilo, mentre uno con attaccamento insicuro potrebbe benissimo non farlo. Alcuni bambini non hanno un vissuto di sintonia affettiva e sono meno capaci di stare in contatto con lo stato mentale proprio e degli altri”

G. Music

Crescendo, con l’affinarsi della competenza mentalistica, i bambini diventano in grado di interagire in maniera sempre più complessa, tenendo conto di più stati mentali propri e altrui contemporaneamente e leggendo in maniera via via più adeguata i comportamenti di adulti e pari, potendo così relazionarsi in modo efficace con gli altri.

BIBLIOGRAFIA

Arace A., Psicologia della prima infanzia, Mondadori, Milano 2010

Camaioni L., Di Blasio P., Psicologia dello sviluppo, Il Mulino, Bologna, 2007

Cavalli G., Tre anni straordinari, La Scuola, Brescia, 2007

Music G., Nature culturali. Attaccamento e sviluppo socioculturale, emozionale, cerebrale del bambino, Borla, Roma, 2013

Argomenti:

Qualche suggerimento di lettura…

0
    0
    Carrello
    Il tuo carrello è vuotoTorna all'hompage