Quando i bambini dicono le parolacce…

Educazione e sviluppo infantile

di Silvia Iaccarino

Ecco…è successo….il tanto temuto e paventato momento in cui il proprio bambino dice la sua prima parolaccia è arrivato!!!!

Eh sì, perché prima o poi capita più o meno a tutti i genitori di bambini in età prescolare di fare questa esperienza…

Indubbiamente ai bambini piacciono ed interessano le parolacce, perché fondamentalmente hanno una grande curiosità verso le parole, e ancora di più per quelle nuove, e ancora ancora di più per quelle “proibite”.

Di solito, iniziano quando sono molto piccoli: potrebbe capitare infatti già nella fascia di età del nido (2/3 anni), che il bambino inizi a pronunciarne qualcuna, tipicamente senza comprenderne il significato e perché l’ha udita da fratelli o amici più grandi, se non dai genitori o altri parenti.

Sostanzialmente ciò che accade è che il bambino le senta pronunciare da qualcun altro e poi, incuriosito da questo nuovo termine, desideri farne esperienza, sentirne il sapore in bocca, iniziando a pronunciarla a propria volta, anche perché gli piace il suono ridicolo del termine stesso.

Quando ciò accade, il piccolo si rende conto delle reazioni che suscita nelle persone che lo circondano, le quali sono sorprese, imbarazzate, a volte divertite.

Tali reazioni rinforzano il comportamento del bambino, il quale è portato a pronunciarla nuovamente sia per ottenere attenzione e verificare le reazioni degli adulti che per capire meglio come funziona questo nuovo “gioco linguistico”.

Altre motivazioni nell’uso delle parolacce risiedono nel desiderio del bambino di sentirsi grande; di trasgredire le regole; di scaricare le proprie tensioni aggressive senza fare male fisicamente a qualcuno. Inoltre, un’altra chiave di lettura attiene al fatto che, da quando il bambino dismette l’uso del pannolino in poi, maneggiare parole come “cacca” e tutto ciò che vi sta intorno sublima il suo desiderio di sporcarsi e di manipolare le feci, pratica ovviamente tabù (giustamente) delle nostre società.

Che fare?

Innanzitutto, il buon esempio è fondamentale. Pertanto, in primis gli adulti dovrebbero evitare di pronunciarle di fronte ai bambini. E anche se ormai parolacce e imprecazioni sono diventare parte del discorso comune e vengono utilizzate come interiezioni nei dialoghi quotidiani, è importante che ci si controlli e si ponga attenzione a questo aspetto. Non possiamo riprendere i bambini quando le dicono, se noi siamo i primi a pronunciarle…

In seconda battuta, con bambini molto piccoli (fino ai 3 anni circa) è utile semplicemente ignorarle e quindi evitare di portare energia e attenzione a tali parole.

Quando i bambini sono più grandicelli, dai 3/4 anni circa in su, può essere utile modificare la propria azione educativa, intanto spiazzando il bambino chiedendogli se conosce il significato della parolaccia che sta usando, senza bisogno di indagare su dove l’ha sentita, a meno che non si tema che il bambino frequenti ambienti non educativamente adeguati. Dopodiché sarà importante spiegargliene il senso (se in effetti non lo conosce) e che alcuni termini possono essere offensivi verso le altre persone, invitandolo di conseguenza a non utilizzarli in pubblico (sempre però, come detto, a partire dal fatto che gli adulti per primi non le dicono 😉 ). Tutto ciò con molta calma e tranquillità, senza rimproverare il bambino, per evitare il rischio di ottenere l’effetto contrario, ovvero che il piccolo continui a  pronunciarle più volte come ricerca di attenzione verso l’adulto.

Qualora il bambino utilizzasse le parolacce in modo circostanziato, per esempio quando è arrabbiato, sarà utile rispecchiare i suoi sentimenti, affermando di comprendere la sua emozione, ma allo stesso tempo chiedendogli di utilizzare altri vocaboli per dire ciò che prova, concedendogli poi del tempo per acquisire questa capacità.

Qualunque sia l’età del bambino, se ci rendiamo conto che egli utilizza le parolacce per attirare la nostra attenzione, sarà importante ragionare su questo suo bisogno, cercando di incontrarlo e soddisfarlo con attività costruttive e positive, in modo che  il piccolo non abbia più necessità di ricorrere a questo comportamento per avere il nostro sguardo su di sè.

Oltre a tutto ciò, è possibile creare una “controllata” (dagli adulti) area di gioco sulle parolacce, per esempio leggendo filastrocche ad esse dedicate, come “Il libro delle parolacce” di R. Piumini può aiutare.

Si può anche proporre ai bambini (dai 5/6 anni in su) un gioco come “L’ABC delle parolacce“, tratto dal testo “Anche i cattivi giocano” di R. Portmann, edizioni La Meridiana:

“Le parolacce non sono di solito ben accette: per questo il pronunciarle può essere estremamente liberatorio. In questo esercizio si possono dire parolacce volontà. Ogni bambino scrive le lettere dell’alfabeto in fila su un foglio di carta (la lettera H può essere omessa) e cerca per ogni lettera quante più parolacce è possibile. Anche parole tabù dovrebbero essere consentite. Esempio:

A asino, attaccabrighe

B babbeo, bastardo

C cretino, cacasotto, cicisbeo, carogna

D deficiente

E ebete

etc…

Naturalmente il gruppo potrà metter su anche  un alfabetiere comune. Sanno tutti cosa significano precisamente le parolacce scelte? Quali parole sono particolarmente offensive? Perché?”

In questo modo sarà possibile riflettere coi bambini oltre che fare un insolito esercizio linguistico.

Inoltre, può essere utile proporre al bambino di inventare parole alternative o suggerirne altre che potrebbero essere comunque interessanti, se il focus è sul piacere del gioco linguistico. Per esempio, rispolverare parole come “perbacco”, “perdindirindina”, “accipicchia”, etc. e suggerire al bambino di usare queste ultime o, appunto, altre inventate insieme.

 

 

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