Emozioni ed attività manipolativa dei bambini: uno sguardo diverso su un’esperienza frequente nei servizi educativi 06 anni – PRIMA PARTE

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di Silvia Iaccarino

La manipolazione è un’attività fondamentale per i bambini in età prescolare e unisce in sé diversi elementi: esplorazione, scoperta, gioco combinatorio, costruttivo, simbolico,  e dove il processo prevale sul prodotto (come di norma dovrebbe essere). 

Questa, come molte altre attività, consente al bambino di acquisire fiducia e sicurezza nelle proprie risorse e capacità, in quanto egli può costruirsi un progetto di esplorazione e di gioco, in base alle sue esigenze e abilità.

Oltre allo sviluppo cognitivo, la manipolazione può sostenere il percorso di crescita del bambino anche sul piano emotivo, supportandolo nell’elaborazione di diverse emozioni. 

In particolare, ad esempio, la manipolazione con la pasta di pane, di sale, il didò, la creta, lo stucco, etc. può servire per canalizzare l’aggressività del bambino, il quale ha l’opportunità di scaricare le sue tensioni corporee di natura emotiva strizzando, spezzettando, battendo, schiacciando, tagliando, bucando, etc. il materiale. 

Il bambino può sperimentare così, tramite un canale “legittimo” ed autorizzato,  non colpevolizzato, le sue istanze aggressive “facendo a pezzi” e distruggendo il materiale, per poi successivamente ricomporlo, rimpastarlo, per farlo tornare alla sua forma originale. 

Dal punto di vista simbolico, pertanto, in questo distruggere e ricostruire, il bambino può leggere la possibilità di “rimediare ai danni” ed osservare che la sua aggressività può non eliminare l’altro, in quanto il recupero è sempre possibile. 

Si può distruggere, ma poi è possibile ricostruire. Si può fare a pezzi, ma poi ricreare l’intero. 

Questo aspetto simbolico lavora quindi nell’ambito della relazione tra il bambino e l’Altro, oggetto d’amore, in relazione alla dinamica aggressiva, per cui il bambino può scoprire che ciò che è “rotto” si può riparare. 

La propria rabbia, quindi, non rischia di distruggere, per esempio la mamma. Né la rabbia, per esempio, della mamma distrugge il bambino, e la relazione tra essi. 

I giochi di separare e riunire che il bambino può attuare nella manipolazione, come ci dice Aucouturier, “sono giochi di rassicurazione profonda relativi all’angoscia di perdita dell’oggetto madre e della perdita di sé. Sono anche giochi di valore cognitivo che evolveranno in seguito verso i giochi di classificazione e seriazione, in base ai quali si svilupperà il pensiero operatorio” (Aucouturier, 2005)

 

La manipolazione assume, pertanto, un forte valore “terapeutico”, oltre che di scarica, per cui il bambino, attraverso di essa, da una parte può canalizzare fuori di sè le tensioni corporee, regolando le proprie emozioni e, dall’altra, contemporaneamente, “imparare” sul piano affettivo-emotivo che le relazioni si possono riparare (riparazione interattiva): ciò che è rotto può essere ricostruito e tornare come prima.    

Un altro aspetto su cui la manipolazione può lavorare, sempre riferendoci all’ambito emotivo e, quindi, come prevenzione ma anche per “prendersi cura” di un disagio, attiene alla possibilità per il bambino di rielaborare e superare vissuti arcaici. 

Mi riferisco, in particolare, a tutti quegli stati emotivi primitivi, dei primi momenti di vita, in cui il piccolo può percepirsi come frammentato, disgregato, “a pezzi”. 

Il richiamo è alle “angosce impensabili”, così definite da Winnicott, le quali creano nel bambino, soprattutto quando è molto piccolo, stati emotivi estremamente pregnanti e di difficile comunicazione. 

Le “angosce impensabili” sono: 

  • Cadere per sempre;
  • Sentire di non avere rapporto con il corpo;
  • Sentirsi persi, senza orientamento; 
  • Andare in pezzi. 

L’andare in pezzi/sentirsi a pezzi, attiene anche ad un’angoscia che Daniel Stern ha identificato nel senso di sé emergente, relativo ai primi 2 mesi di vita del bambino, momento in cui il piccolo inizia a crearsi una mappa del mondo a partire dai dati sensoriali in rapporto al proprio corpo, base su cui poggia il successivo senso di sé nucleare. 

In particolare, quindi, soprattutto rispetto all’andare in pezzi e sentire di non avere rapporto con il corpo, la manipolazione può essere un buon canale per la rielaborazione di tali stati emotivi quando essi non sono stati “digeriti”, laddove il bambino non ha sperimentato il supporto di un adulto sufficientemente buono, capace di aiutarlo nel farlo sentire intero, contenuto, compattato, ovvero quando la funzione di “holding” (sempre per richiamare Winnicott) e di reverie (per richiamare Bion) non è stata svolta appieno.

Oltre a lavorare sulle istanze aggressive e sulle angosce impensabili, la manipolazione può essere utilizzata anche per supportare il bambino nella rielaborazione della separazione.   In questo caso è possibile fornirgli, oltre al materiale manipolativo (pasta di sale, di pane, creta, didò, etc), oggetti non strutturati e di recupero (tappi di varie dimensioni e materiali, pezzetti di legno, conchiglie, sassolini, pezzetti di tubo di gomma e di cannucce, di stoffa, di carta, mollette da bucato, etc), i quali possono essere inglobati e nascosti all’interno della pasta manipolativa. 

Il bambino, pertanto, ha la possibilità di inserire tali materiali all’interno della pasta che sta manipolando, simulando così, attraverso la loro scomparsa in esso, la separazione dal caregiver. Poi, come nel gioco del cucù, il bambino può recuperare il materiale nascosto, facendolo riemergere dall’impasto e ritrovandolo quindi. 

In questo nascondere e ritrovare, il bambino può rinforzare lo sviluppo del concetto di permanenza dell’oggetto, fondamentale affinché egli possa separarsi senza vivere ciò come un evento traumatico e disgregante. 

Nella seconda parte dell’articolo, indagheremo altri aspetti interessanti della manipolazione…

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