di Silvia Iaccarino
Come abbiamo detto nella prima parte di questo articolo, l’aggressività senza senso, per quanto spiacevole, è normale all’interno dei contesti educativi 0-3 anni. Nonostante ciò gli educatori spesso faticano nel gestire queste situazioni e si chiedono come intervenire al meglio.
Per gestire al Nido tali comportamenti l’educatore deve, da una parte, tenere conto dell’esistenza del mondo interno del bambino e, dall’altra, accompagnarlo verso modalità espressive più “socialmente evolute”.
Dopo essersi quindi occupati dell'”aggredito”, sarà altrettanto importante occuparsi dell'”aggressore”, il quale è spesso colui che ha più bisogno dell’intervento adulto in queste situazioni.
L’educatore, pertanto, senza ostilità, mantenendo la calma e se il bambino è presente con lo sguardo, gli fornisce un contenimento e mette parole sull’accaduto, indicando al piccolo “aggressore” strategie comportamentali più adeguate e ribadendo la classica regola del “non si fa male agli altri e non ci si fa male”.
Per esempio: “Giovanni, forse Luca ti ha infastidito in qualche modo. Non sapevi come dirglielo così l’hai morso. Ti ricordi la regola? Non voglio che mordi, mordere fa male. Vedi che Luca piange? La prossima volta diglielo con le parole oppure vieni da me e ti aiuto io“.
Sul momento, non serve fare più di questo, come per esempio usare il “time out”, il quale è anzi controproducente. Piuttosto, se serve, meglio usare il “time in” (vedi qui) .
A volte, infatti, gli adulti pensano che un intervento più severo possa servire a eliminare tali comportamenti. Ma non funziona così! Non siamo onnipotenti e queste modalità non sono eliminabili dall’oggi al domani grazie al nostro “corretto” intervento educativo.
Si tratta di situazioni NORMALI E FISIOLOGICHE che spariranno DA SOLE, nel tempo.
Proprio perché sono agiti legati all’immaturità emotiva e psicologica dei bambini, e che quindi si evolveranno naturalmente, l’educatore deve concentrarsi sul fatto che il proprio intervento non vada ad intaccare l’autostima del piccolo passandogli l’idea di “essere sbagliato”. Infatti, potrebbero avere conseguenze negative e durature per lui (a livello relazionale e sociale) gli atteggiamenti non sufficientemente contenitivi ed amorevolmente fermi degli adulti.
Il bambino ha bisogno di sentire che la relazione con l’adulto “tiene” e che il suo comportamento inadeguato non rompe il rapporto. Ha bisogno di sentirsi comunque accettato per quello che è, altrimenti la difficoltà può aumentare, anziché diminuire: per questo è importante non intervenire in modo duro ed ostile, ma amorevolmente fermo.
Servono quindi pazienza e costanza nel portare avanti la propria strategia educativa, certi che il tempo farà il resto.
E’, poi, molto utile lavorare per cercare di prevenire il fenomeno, osservando e tenendo conto delle situazioni e dei segnali che precedono o accompagnano tali episodi (spesso le “vittime” sono sempre gli stessi bambini, oppure gli episodi accadono negli stessi momenti e/o spazi).
Per prevenire il più possibile tali eventi è quindi importante attuare una osservazione ampia, che tenga conto di tutto il contesto-nido per capire e cogliere eventuali ridondanze su cui poter poi agire: per esempio, gli episodi accadono perlopiù prima del pranzo, oppure nei momenti di passaggio da un’attività ad un’altra o da uno spazio ad un altro. Oppure ancora accadono durante il gioco libero, oppure quando il livello di stimolazione uditiva è alto a causa del rumore, etc.
Un aspetto importante di cui tenere conto durante l’osservazione riguarda anche l’analisi del setting di gioco, soprattutto rispetto ai materiali proposti durante il momento libero.
Infatti, a volte, la difficoltà dei bambini può derivare dalla noia suscitata da materiali poco interessanti, che non rispondono ai loro bisogni, sensorialmente poveri (come, ad esempio, i “giochi educativi” in plastica) e/o che sono già molto conosciuti in quanto utilizzati da diverso tempo senza cambiamenti, nè rotazione.
Qualora si cogliesse qui una possibile criticità, sarà cura dello staff educativo interrogarsi rispetto a come modificare il materiale proposto, orientandosi verso oggetti “destrutturati”, possibilmente naturali, poveri, di recupero, in grado di favorire l’interesse, l’attenzione e la creatività dei bambini (oltre a sostenerne lo sviluppo a 360°).
Nel momento in cui, a seguito di diverse osservazioni, si coglie un pattern (uno schema) è possibile lavorare in prevenzione accompagnando il bambino con una modalità relazionale più ravvicinata quando ci si trova in quella situazione.
Questo significa, per esempio:
- avvisare il bambino individualmente e in anticipo prima di un cambiamento di attività o di spazio, nominandolo, guardandolo negli occhi e se, serve, anche con un contatto fisico;
- nominare il bambino “capo-treno” nel momento degli spostamenti, in modo da averlo sempre vicino a sé;
- responsabilizzare il piccolo chiedendogli di svolgere semplici compiti nei momenti “a rischio”;
- portarlo con sé qualora l’educatrice debba spostarsi in un’altra stanza, chiedendogli di farle da assistente;
- durante il gioco libero sistemarsi fisicamente vicino al bambino e, se necessario, sostenerne le condotte ludiche coinvolgendosi nel gioco (pur lasciando la guida in mano al piccolo);
- se si valuta che il bambino sia in “overbooking sensoriale”, proporgli delle attività calmanti (quiet book, giochi cognitivi come puzzle, incastri, chiodini, materiali da ordinare, classificare, seriare, manipolazione, travasi, etc) e, se possibile, agire sull’ambiente per diminuire il livello di stimolazione.
Tutto ciò ricordandosi che, per quanto riguarda i bambini di questa fascia di età, non si può mai parlare di violenza poiché siamo in assenza dell’intenzionalità al fare male. Come dice Daniele Novara “occorre ricordare che prima dei 7 anni non è possibile parlare di intenzionalità dell’atto violento: non è presente la violenza perlomeno nei termini in cui la intendono e percepiscono gli adulti. (..) Tra bambini è indubbiamente presente una buona dose di fisicità dato che la verbalizzazione non è ancora sufficiente ad esprimere le emozioni”.
La relazione con i genitori
Infine, una nota sulla relazione con i genitori dei bambini in queste situazioni. Infatti, come dice Nicolodi: “spesso questi incidenti di percorso creano ulteriori problemi nel vissuto degli adulti coinvolti, soprattutto nei genitori, e contenere questo comportamento, anche se del tutto normale e consueto in comunità di bambini piccoli, non è sempre facile. E’ soprattutto importante non far incolpare, consciamente o inconsciamente, i genitori dei bambini che mordono, come se fosse colpa loro.”
Infatti, è fondamentale, sebbene talvolta complesso, far comprendere alle famiglie la normalità di questi episodi, seppure spiacevoli, informando i genitori in merito alle tappe evolutive dei bambini, spiegando come funzionano i comportamenti aggressivi a questa età e come i bambini che mordono NON siano figli di “genitori inadeguati”, né saranno dei futuri delinquenti!!. E’ utile poi specificare anche le proprie strategie educative in queste situazioni e le modalità di comunicazione alle famiglie in tali frangenti.
La riunione di inizio anno, quando la partecipazione delle famiglie è massima, può rappresentare un’occasione per ragionare “a freddo” su queste situazioni, visto che sicuramente capiteranno.
Ovviamente è importante tenere presente che, comunque, ciò non impedirà ad alcune mamme e papà di avere delle reazioni emotive anche intense qualora il proprio bambino venisse morsicato.
La fatica dei genitori di fronte a questi episodi spesso è rivestita di paure legate al pianto ed al dolore fisico provato dal proprio bambino: “E’ l’ansia adulta che va a rivestire questo atto di significati esasperati, una paura eccessiva rispetto al dolore, la paura che il piccolo possa soffrire, l’idea che a un bambino debba essere evitata ogni più piccola frustrazione. Il significato che l’adulto tende a dare al morso è spesso collegato all’esperienza adulta (…). Sono questi ‘inquinamenti’ che non consentono di collocare il morso di un bambino dentro una cornice corretta“.
Altri genitori vivono i morsi come fossero dei “traumi” per i bambini e quindi, con questa idea in mente, comprensibilmente si spaventano. Ma, come espresso sempre da Nicolodi: “Nessuna ricerca ha mai dimostrato che i bambini che sono stati morsi dai compagni al nido poi hanno sviluppato qualche forma di problema specifico. E’ un fenomeno le cui conseguenze dipendono essenzialmente da come sono vissute, contenute ed elaborate dagli adulti vicini ai bambini“.
E’ utile, perciò, tranquillizzare le famiglie rispetto a tale questione.
Comprendere i genitori ed essere empatici verso i loro vissuti di fronte a questi episodi è importante, sebbene sia altrettanto importante nel proprio ruolo professionale aiutarli a mettere questi eventi nella giusta prospettiva e dimensione qualora venissero ingigantiti.
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le modalità di intervento qui suggerite valgono non solo per la gestione dei morsi nelle situazioni che stiamo descrivendo ma, adattandole alle diverse situazioni, sono utili per gestire l’aggressività in generale
a volte, dopo questi episodi, il bambino che ha morso rimane per un attimo confuso, disorientato: non si rende bene conto di cosa sia successo. E’ importante dargli il tempo di tornare presente a sé e all’ambiente circostante prima di intervenire e ciò è visibile dalla presenza del suo sguardo
D. Novara “Litigare per crescere” – ed. Erickson, Trento, 2010
P. Cosolo Marangon, “Aiuto il morsicatore!” in Uppa, numero 4/2015
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