di Carola Castoldi, educatrice professionale presso Scuola dell’infanzia Maria Bambina di Lissone, specializzata in Pedagogia dell’Infanzia, Pedagogia Clinica e Pedagogia dello Sport
Allenare lo sguardo
Come l’adulto può interrogarsi rispetto agli apprendimenti dei bambini?
Una ricerca nata all’interno della Scuola dell’Infanzia Paritaria Maria Bambina di Lissone che si tradurrà in una mostra dal titolo “Mosaico di apprendimenti”. Un percorso che ha coinvolto insegnanti, genitori e bambini che si sono addentrati nei sentieri della documentazione pedagogica per riflettere su come tale pratica potesse fermare il pensiero sui processi di strutturazione della conoscenza.
Un primo report di questo percorso di ricerca è stato offerto, in sintesi, durante la conferenza gratuita “La mente dei bambini” promossa da Percorsi Formativi 06 per aprire questa finestra argomentativa che vi riassumiamo così.
Riflettere e porsi alla ricerca degli apprendimenti dei bambini presuppone una serie di competenze che, spesso, nel bagaglio dell’educatore vengono trascurate o si trovano ad assumere sfumature molto differenti fra loro a seconda dei sistemi nei quali si trovano ad inserirsi.
Quando il sistema nel quale si mette al centro il bambino è di tipo educativo, è indispensabile fermarsi ad interrogare il linguaggio che utilizziamo, per andare oltre l’aspetto linguistico e addentrarsi nel panorama dei significati.
Le parole racchiudono i significati, ma spesso anche le nostre pratiche sono dense di significati che non vengono esplicitati e tematizzati rischiando così di svuotare di senso le pratiche stesse.
Quando ci si domanda quali tipi di apprendimenti possiamo sostenere all’interno dei contesti educativi 0/6, nasce l’esigenza di riflettere sugli strumenti che abbiamo a disposizione per analizzare le situazioni e rintracciare gli apprendimenti dei bambini.
QUALE SGUARDO PUÒ METTERE IN CAMPO L’ADULTO PER COGLIERE GLI APPRENDIMENTI DEI BAMBINI?
Alla base di questa ricerca “di sguardo” , vi è prima di tutto la necessità di discriminare su quali livelli noi possiamo muoverci: guardare, vedere, osservare.
Termini che, spesso, vengono utilizzati come sinonimi portano con sé delle specificità non trascurabili in quanto sono livelli che si muovono in modo differente sui binari dell’intenzionalità e della sistematicità. Queste due caratteristiche, infatti, associate fra loro appartengono in modo unico ed esclusivo all’atto dell’osservazione.
All’interno dei servizi protagonisti della ricerca, però, l’osservazione vuole prendere distanza dall’osservazione tradizionale (di tipo oggettivo e valutativo) ancorandosi invece alla documentazione pedagogica: si offrono, infatti, all’interno della documentazione attribuzioni di significato e atti interpretativi dell’agire del bambino. Non si tenta di incasellare il bambino per valutarne il livello di sviluppo, ma si operano delle scelte per valorizzare il suo procedere all’interno delle esperienze.
In questa prospettiva, come sostiene Loris Malaguzzi, “osservare significa rispettare e ascoltare il bambino in forma attenta, amorosa, senza cadere nell’errore di fare un’analisi che cerca di rinchiudere il bambino in tabelle, stadi e livelli prefissati di sviluppo.”
Superata, quindi, la visione tradizionale dell’osservazione oggettiva, la documentazione diventa quello strumento capace di tenere traccia degli attraversamenti dei bambini e delle modalità attraverso le quali essi costruiscono il loro sapere.
La documentazione, in particolar modo attraverso il linguaggio della fotografia, oggetto di studio da parte dei genitori, delle insegnanti e dei bambini, si è tradotta quale potente mezzo attraverso il quale veicolare immagini d’infanzia, processi di scoperta ma soprattutto le idee dei bambini.
Si è posta, infatti, una forte attenzione al valore delle idee dei bambini, restituendo loro la possibilità di essere attori del loro sviluppo, capaci di formulare spiegazioni di senso e ipotesi di degna sensatezza. Questa prospettiva si è caricata di un potente messaggio attraverso la lettura del libro “Che idea” di Koby Yamada, che si è tradotto in mediatore per attivare riflessioni più profonde su questo tema attraverso la dimensione della metafora, chiave di accesso spesso privilegiata alle concettualizzazioni.
Ma considerato che la documentazione, intesa in questo senso, ci offre la possibilità di entrare in contatto con gli apprendimenti dei bambini, è risultato fondamentale definire che cosa intendiamo noi per apprendimenti; troppo spesso, infatti, questo termine è associato alla trasmissione o all’acquisizione di mere abilità.
Per noi, invece, la definizione che più si avvicina alla nostra connotazione di apprendimento è quella di Carla Rinaldi che parlando di strutturazione della conoscenza ci dice: “L’APPRENDIMENTO NON AVVIENE ATTRAVERSO LA TRASMISSIONE O LA RIPRODUZIONE, L’APPRENDIMENTO È UN PROCESSO DI COSTRUZIONE NEL QUALE CIASCUN INDIVIDUO COSTRUISCE LE RAGIONI, I “PERCHÈ”, I SIGNIFICATI DELLE COSE.”
È così che intendiamo noi il bambino, essere non più esecutore di programmi ma costruttore di possibilità, di competenze trasversali che vanno a dare forma a quella struttura alla quale si ancoreranno nel tempo le sue conoscenze, le sue domande, le sue curiosità e le sue spiegazioni.
Dopo aver dato spazio alla voce dei genitori, attraverso una restituzione delle riflessioni più significative portate dai genitori in merito alla loro maturata sensibilità e familiarità con la documentazione, che ha permesso loro di raffinare il pensiero e plasmare la loro immagine di bambino, abbiamo concluso con un video.
Un video che in qualche modo si è tradotto nel manifesto ideologico di chi sceglie ogni giorno di fare spazio al bambino, dandogli fiducia e offrendogli la possibilità di essere oggi “cittadino del suo mondo”. Con la proiezione del video della Pixar “La Luna” si è chiusa la conferenza, ma si è aperta una finestra di dialogo sul tema che sicuramente sconfinerà e contaminerà sguardi, portando di più nel panorama educativo l’emergenza di occuparsi di questi temi. L’emergente bisogno di fare cultura dell’infanzia.