di Silvia Iaccarino
Quello dei bambini che mordono e che vengono morsicati, soprattutto al nido, è un tema decisamente scottante, che mette in difficoltà tanto gli educatori quanto, e ben di più, i genitori.
Rispetto al bambino che morde, ho già scritto altrove e potete trovare anche i miei video su Youtube dove ne parlo.
In questo articolo voglio dedicarmi invece al bambino che viene morsicato, sperando di poter rassicurare le famiglie che si trovano a far fronte a questi episodi.
Che i bambini 0-3 anni mordano saltuariamente rientra nelle manifestazioni comportamentali fisiologiche. I morsi non denotano cattiveria da parte del bambino né maleducazione né sicuro disagio (in questo caso, diverso potrebbe essere il discorso per quei bambini che mordono ogni giorno e più volte al giorno). I morsi nei bambini di questa età non rappresentano nemmeno, in nessun modo, una forma di violenza e/o bullismo, poiché i piccoli non hanno alcuna intenzione di nuocere all’altro, quanto piuttosto agiscono principalmente per difendere il loro territorio, i loro giochi e giocattoli (ma non solo: i fattori in gioco possono essere diversi).
Il bambino che viene morsicato, pertanto, non è vittima di azioni violente, né di forme precoci di bullismo. Ci tengo a sottolineare questo aspetto in quanto, nella mia esperienza, una delle preoccupazioni più grandi per i genitori riguarda proprio questo tema.
Infatti, mamme e papà hanno spesso reazioni emotive intense a fronte della comunicazione che il proprio bambino è stato morso poichè tendono a proiettarsi nel futuro e temono che ciò rappresenti un segnale di “debolezza” del proprio figlio. Molti genitori dicono al proprio bambino che, se qualcuno lo picchia o lo morde, deve restituire il gesto aggressivo. Non ritengo che educare alla gestione dei conflitti e delle difficoltà nelle relazioni debba prevedere la “legge del taglione”, ma comprendo i motivi per cui mamme e papà propongono ai figli tale strategia.
Viviamo in un mondo estremamente individualista e competitivo dove vige “la legge del più forte” e di chi si fa più strada sgomitando e schiacciando gli altri. Molti genitori sono preoccupati per il futuro dei propri figli in una società liquida come quella attuale, in continua e rapida trasformazione. Non abbiamo idea di come sarà il pianeta anche solo tra 5 anni. Siamo la prima generazione di adulti ad avere davanti a sé un futuro incerto e imprevedibile.
Questo tema non è ininfluente nella relazione educativa. I genitori, come è normale che sia, desiderano la felicità ed il successo per i propri bambini e sono motivati, oggi più che mai, ad attrezzarli per affrontare il futuro. Ciò comprende anche il prevedere modi affinché essi possano fronteggiare eventuali prepotenti e prevaricatori. I media non fanno altro che rimandarci notizie fosche su episodi di bullismo e cyberbullismo con le fatali conseguenze che talvolta portano con sé e così mamme e papà pensano a come prevenire eventuali problematiche future, talvolta però suggerendo strategie che alimentano il conflitto, anziché suggerire di usare l’assertività, comunicando con le parole il proprio disappunto.
Nella mia esperienza di lavoro con le famiglie parlo ogni giorno con genitori che temono, da un lato, che il proprio figlio venga traumatizzato per ogni cosa e, dall’altro, che il futuro possa essere soverchiante. Le preoccupazioni sono molte e tanti genitori vivono emozioni e pensieri che li portano a temere che ogni più piccola contrarietà, dolore, difficoltà, possa scalfire l’integrità del figlio e segnarlo per sempre.
Quando il proprio bambino viene morsicato al nido e viene comunicata tale notizia, ad alcuni genitori iniziano a presentarsi dinanzi immagini di insuccesso, vittimizzazione, trauma. L’identificazione spiccata col figlio, e che oggi connota frequentemente la genitorialità, porta mamme e papà a vivere in modo intenso le emozioni del bambino, senza riuscire a porre quella giusta distanza che, sola, consente di mettere gli eventi in prospettiva e di guardarli con equilibrio e saggezza.
Se, poi, il genitore ha vissuto o vive situazioni in cui si sente o si è sentito prevaricato e aggredito, l’identificazione è totalizzante ed i fantasmi del passato (o del presente) vengono a visitarlo, ingigantendo l’episodio del morso e dando vita a reazioni irrazionali ed eccessive.
Per un bambino essere morsicato da un pari non è sicuramente un’esperienza piacevole. Ma i piccoli, a differenza degli adulti, non sono dotati di visione prospettica. Vivono nel qui e ora. E nel qui e ora un morso fa certamente male, ma passato il dolore finisce lì. Dopo pochi minuti tornano a giocare con l’amico che li ha morsi poco prima, senza rancore.
E laddove, come talvolta accade, un piccolo viene morsicato più di una volta dallo stesso amico, può capitare che non abbia più tanto piacere o voglia di avvicinarlo e di giocarci insieme, ma ciò non significa che sia traumatizzato. Semplicemente ha imparato che quella persona non è gradevole per lui e ne sta alla larga. Come quando tocca il forno caldo e si “scotta”: non vi si avvicinerà più non perché ha subito un trauma ma perché ha capito che il contatto è spiacevole. Nè più né meno.
Nel caso di più morsi ricevuti, a volte i genitori affermano che il figlio ha gli incubi o che non vuole più andare al nido. Ma anche questi non sono segnali di “traumi in corso”: semplicemente il bambino rielabora l’accaduto nel sonno, da un lato e, dall’altro, manifesta la fatica di venire ancora a contatto con una situazione sgradevole. Starà ai genitori da una parte ed agli educatori dall’altra, aiutare il piccolo a comprendere che quanto ha vissuto è spiacevole senz’altro ma inscritto all’interno di una normalità nella costruzione dei rapporti sociali tra pari.
Che fare dunque?
Ritengo importante che mamme e papà possano riflettere su di sè, sulla propria storia passata e presente per rintracciare eventuali reminiscenze di torti subiti, più o meno significativi, e possano distanziarsi dall’identificazione col proprio bambino. Inoltre, anche restare ancorati al presente, evitando deleterie e fosche proiezioni nel futuro, a svantaggio del proprio bambino, credo sia un aspetto su cui lavorare, per scaricare tensione da questi episodi e permettere sia a se stessi che al proprio bambino di vivere situazioni simili per quello che sono: normali tappe di un percorso di crescita e di acquisizione di competenze sociali.
Infine, i genitori possono aiutare i figli a comprendere gli eventi verbalizzando loro l’accaduto, se l’episodio avviene il loro presenza, dopo averli consolati. Per esempio: “Giovanni, Luca ti ha morsicato perchè hai preso la sua macchinina senza chiederglielo. Lui non voleva dartela e non sapeva come dirtelo, così ti ha morso. La prossima volta diglielo con le parole: ‘mi presti la macchinina?’” (questo suggerimento vale per tutti gli episodi di aggressività e non solo per i morsi).
Ricordare che il morso non è un episodio traumatico in sè può essere di aiuto al genitore per restare coi piedi per terra, aiutare il bambino a elaborare i vissuti e le emozioni ad esso collegati e “sfruttare” gli eventi per progredire lungo un percorso di crescita che non può prevedere solo gioia, felicità e serenità. La vita consiste anche in contrarietà, situazioni spiacevoli, conflitti, che i bambini devono poter vivere, col giusto ed equilibrato accompagnamento degli adulti, per attrezzarsi a fronteggiare anche le difficoltà.
Non possiamo chiudere i bambini sotto una campana di vetro. Non solo è impossibile, ma anche inutile e deleterio per la loro crescita.