Le recite di Natale nei servizi 06 anni: una riflessione critica

Educazione e sviluppo infantile

 

di Silvia Iaccarino

 

 

Siamo a ottobre e oramai il Natale è dietro l’angolo. Nelle Scuole dell’Infanzia (a volte anche al Nido), le insegnanti iniziano a pensare a come organizzarsi per festeggiare tale ricorrenza, spesso ragionando sulla recita dei bambini per le loro famiglie. 

Lo svolgimento della recita di Natale rappresenta, infatti, un’usanza diffusa in molti servizi 06 anni e su cui le insegnanti investono tempo, energie e risorse economiche per farne un evento significativo e “spettacolare”, in tutti i sensi. 

La recita è un evento così diffuso che solitamente lo si dà per scontato e non viene messo in discussione all’interno dei servizi educativi, in quanto pilastro portante dei festeggiamenti natalizi, cuore pulsante di questo significativo momento dell’anno. 

E’ un rito così radicato che, Natale dopo Natale, continua ad andare in scena, nonostante sia stressante e generatore di ansia tanto per le insegnanti che, soprattutto, per bambini così piccoli (mi riferisco qui alla “classica” recita con copione da imparare a memoria, ruoli, regia adulta a dirigere i bambini). Infatti, chiunque visiti prima di Natale un nido o una scuola dell’infanzia dove è prevista la recita potrà osservare preparativi frenetici per allestire scene e costumi, nonché bambini confusi e disorientati che tentano di imparare a memoria battute e copioni scelti da altri, spesso nemmeno così ben compresi nel loro significato più profondo. Per non parlare della recita stessa che, certo, mostra alcuni bambini che si divertono e ci si sentono a proprio agio, ma anche, con una certa regolarità, porta sul palco bambini imbarazzati, piangenti, immobili, impacciati. Si liquidano spesso queste emozioni e comportamenti con l’idea che recitare può essere un incentivo per chi è più timido e ritroso, per sbloccarlo e farlo andare avanti, ma personalmente non credo sia questa la strada. L’approccio troppo diretto in genere produce semmai l’effetto contrario: come il bambino che ha paura dell’acqua e viene preso e buttato in piscina…Che tipo di esperienza vive? Quale etichetta apporrà su tale evento? Quale impatto emotivo?

Lo stress e l’ansia da prestazione per la recita sono spesso palpabili, ma l’evento è talmente pregno e il rito così ovvio, che frequentemente non ci si rende conto del carico emotivo sui bambini. E’ un po’ come quando si abita vicino ad un aereoporto: all’inizio il suono degli aerei in decollo è atterraggio è disturbante, ma poi dopo un po’ ci si abitua e non ci si fa più caso. Uso questa immagine per dare un’idea di come, a volte, si è talmente presi da un’abitudine che non si entra più in contatto con ciò che si prova davvero, dentro di sé, in quella situazione e con ciò che prova chi sta intorno a noi. Fuor di metafora e guardando alla recita, ciò che accade, nell’abitudine del rito, è che gli insegnanti possono non notare più certi gesti, sguardi, posture e sfumature emotive e relazionali dei bambini e si va spediti lungo il proprio percorso automatico, poco consapevoli del significato della comunicazione non verbale attraverso cui i piccoli possono narrare la loro fatica nel portare avanti un compito più grande di loro. 

Come afferma Helga Dentale, esperta di teatro per bambini: “La recita è uno spettacolo che va scritto (o scelto quando si prende un testo già esistente) e poi allestito. I bambini diventano così attori e lo mettono in scena. Questa procedura è adatta a bambini della scuola primaria e secondaria, in grado di elaborare e trasformare tutto questo percorso in un processo espressivo e creativo. La ‘recita’ non è una procedura modellata sulle risorse espressive e cognitive dei bambini più piccoli (della scuola dell’infanzia) perché  non risponde alle loro esigenze. Far ‘recitare’ bambini così piccoli significa solo metterli a replicare qualcosa che viene suggerito dall’adulto.  Mi riferisco ovviamente alla scelta di allestire una recita ‘tradizionale’: attribuire i ruoli ai bambini, fargli imparare a memoria qualche battuta, impostare movimenti predefiniti. Questo non porta a nulla dal punto di vista educativo: non stimola l’immaginazione, non favorisce lo sviluppo del pensiero narrativo, non lavora sulla creatività. Il bambino spesso si trova a fare ciò che l’adulto ha preconfezionato per lui sentendosi anche a disagio o in imbarazzo. Perché la recita, così impostata, implica un’esibizione, è inutile girarci intorno. (…) Ma la recita dovrebbe essere uno spazio espressivo, creativo e gratificante per tutti i bambini e non potrà mai esserlo perché i principi strutturali su cui si imposta non rispondono davvero alla esigenze espressive dei bambini di questa età. Non è sano, a mio avviso, far vivere ai bambini un’ansia da prestazione legata alla performance. (…) C’è tempo per recitare! Ma non alla scuola dell’infanzia. Arriverà il giusto tempo in cui il bambino, avendo maturato capacità cognitive adeguate, saprà cogliere il senso costruttivo di fare uno spettacolo. Allora si appassionerà, si sentirà veramente protagonista di un processo creativo, e saprà trarne piacere. In età prescolare ciò non è ancora possibile: il bambino non può appassionarsi mentre si ritrova a provare ad oltranza le stesse scene, le stesse cose, le stesse battute. E’ mera ripetizione”. 

Prendo anche a prestito le parole di Marco Bricco, il quale nel suo “Fare teatro al nido” (ed. FrancoAngeli), così parla della recita: “La possibilità di realizzare una rappresentazione conclusiva passa inevitabilmente per un percorso di ripetizioni e di prove mirato al raggiungimento del miglior risultato possibile. Una modalità operativa che quando viene applicata a bambini così piccoli mi pare perlomeno discutibile, tanto più che il risultato finale rischia spesso di assomigliare ad una esposizione di bambini, agghindati con trucchi e travestimenti, piuttosto che ad una preziosa occasione per restituire al pubblico la loro vitalità e ricchezza espressiva”.

Eppure, se ci si sofferma a parlare con un’insegnante della recita, e della fatica insita nel proporla e allestirla per bambini così piccoli, spesso ci si sentirà dire che: 

  • “ai bambini piace e non è vero che li stressa”: come già anticipato, a qualche bambino piace sicuramente ma non a tutti e ritengo importante si lavori verso un rito più inclusivo, invece che verso una modalità che genera forti disparità tra chi gradisce e si diverte da un lato e chi, dall’altro, prova ansia da prestazione, stress quando non terrore. Sta all’insegnante affinare lo sguardo, calarsi gli occhiali dell’abitudine, e notare quei bambini (e ce ne sono tanti) che non sono affatto felici né entusiasti della recita. Inoltre, per i bambini che la apprezzano, va riflettuto se davvero tale rito piace loro oppure se il gradimento è condizionato dal desiderio di compiacere gli adulti: genitori e insegnanti che su tale evento investono e ne fanno capire la significatività. Infatti, sono sempre presenti  bambini che si allineano alle richieste adulte pur di sentirsi ben voluti e accettati: i classici “bravi bambini” che danno grandi soddisfazioni a spese della connessione con i loro bisogni e le loro intime istanze, e se l’insegnante non allarga le sue capacità osservative, è facile che sfuggano;

 

  • “è utile per la memoria”: per “allenare” la memoria dei bambini bastano le letture quotidiane che si svolgono nei servizi oltre che normali esperienze proposte. Non è necessario aggiungere la recita per attrezzare i bambini sotto questo profilo. Oltre tutto, imparare in modo meccanico battute che non sono davvero sentite né comprese fino in fondo dai bambini, che senso ha? Quali reali apprendimenti può generare? 

 

  • è “bello per i genitori assistervi”: non c’è dubbio che il genitore provi piacere nella recita, ma la scuola dovrebbe, per mandato, fare cultura dell’infanzia e non colludere con le richieste genitoriali che vanno verso l’omologazione e la scarsa espressione creativa dei bambini. Vale tutto il discorso dei “lavoretti” già portato avanti in altri articoli qui; 

 

  • è “una tradizione”. Se poi la scuola ha un’impronta cattolica, si aggiunge anche che “è un modo per passare il messaggio cristiano”: senz’altro è una tradizione, ma le tradizioni possono essere modificate quando ci si rende consapevoli della loro scarsa utilità. Inoltre, per passare il messaggio cristiano a scuola le occasioni non mancano, non è certo necessario ricorrere alla recita.

 

Oltre a tutto questo, le insegnanti lavorano anche con l’idea, forse non sempre così consapevole, di voler far bella figura coi genitori, da un lato, e dare evidenza delle proprie capacità di regia e della qualità della scuola, dall’altro. Non sono aspetti da poco, anche questi ultimi. E non a caso sottolineo che si tratta di motivazioni poco consapevoli in quanto se fossero portate alla luce e problematizzate probabilmente le recite dei bambini al nido e alla scuola dell’infanzia potrebbero essere riflettute in modo diverso. Si tratta di un legittimo e umano bisogno di riconoscimento e di appartenenza quello che spesso muove le insegnanti a non mettere in discussione la recita, quasi come se eliminando tale ritualità non vi fossero più occasioni per evidenziare ai genitori il valore del proprio lavoro, per sentirsi viste ed apprezzate. Nel momento in cui si mettono in luce anche questi aspetti e se ne discute apertamente, possono calare le resistenze al cambiamento e allora, in equipe, è possibile interrogarsi su come poter incontrare i propri bisogni senza che siano i bambini a portarne il carico. 

In che modo, quindi, a scuola è possibile valorizzare il lavoro delle insegnanti e mostrare la qualità del proprio agito professionale? Qui si apre un mondo di riflessioni sulla documentazione e la comunicazione con le famiglie ed il territorio e che, pur non essendo il tema centrale di questo articolo, penso siano aspetti importanti da portare a tema nel gruppo di lavoro.

Il Natale, come altre ricorrenze, può essere festeggiato in molti altri modi: per esempio, in molti servizi si coinvolgono al contrario i genitori i quali preparano uno spettacolo per i bambini, oppure si canta e si balla insieme senza un canovaccio da seguire, si creano cori di genitori che cantano per i bambini  e così via. Le possibilità sono tante. Riserviamo la recita per quando i bambini saranno più grandi e potranno davvero apprezzare questo tipo di esperienza. 

 

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