Ri-cercatori (cacciatori) di storie

Educazione e sviluppo infantile

di Carola Castoldi, coordinatrice servizi prima infanzia e docente di Percorsi formativi 06

 

Ri-cercatori di storie. 

Sono loro. Sono i bambini. Sono i bambini con la zaino pieno di coraggio, di fantasia, di leggerezza, di curiosità, di divergenze. 

Sono loro che ogni giorno sono alla ricerca. Ricerca è una parola importante. E non la usiamo a caso quando la prendiamo/diamo in prestito ai bambini. Le loro esplorazioni, le loro scoperte, i loro trafficamenti hanno il sapore della ricerca. Del ritrovamento. Dell’attività di studio che permette di approfondire la conoscenza delle cose. Delle persone. Degli eventi. Dei fatti naturali. 

I bambini sono sempre alla ricerca: ricercano il significato delle cose, ricercano ogni possibile variabile esplorativa, ricercano le infinite combinazioni dei materiali, ricercano il segno grafico che può dare forma ai loro pensieri, ricercano la traccia che può contenere le loro emozioni, ricercano ipotesi per formulare concetti… 

I bambini cercano e ricercano. 

Sono a caccia di scoperte, invenzioni, conoscenze, possibilità, gesti impertinenti ma generativi. 

Ricercano al di fuori delle logiche, delle procedure standardizzate, dei meccanismi limitanti della mente adulta. 

Sono cacciatori di storie, di ipotesi, di teorie, di significati, di inattesi…

E lo fanno così: con semplicità, con immediatezza, con piacere, con passione, con entusiasmo.  Ricercano per il solo piacere di farlo. 

I bambini ogni giorno si rivelano abili cercatori di idee, costruttori di storie, soggetti capaci di porsi domande di senso e attribuire significati a ciò che li circonda: significati unici, spesso “divergenti” rispetto alla logica razionale dell’adulto che tenta di incasellare la conoscenza in schemi prestabiliti. 

Ritroviamo questo loro innato tentativo di dare senso alle cose e di interpretare il mondo continuamente nei loro gesti e nei loro dialoghi quotidianamente ma ci domandiamo: lo sguardo degli adulti è capace di “vedere” tutto questo? Di coglierlo, rintracciarlo, ascoltarlo? Di “dare valore” a tutto questo?

“Molto spesso le teorie, cioè le spiegazioni di senso espresse dai bambini, sono viste come errori o definite come teorie ingenue e, per questo, non degne di essere ascoltate o rispettate. Questo colloca il bambino ad un livello inferiore, lo considera “imperfetto” e il suo contributo di pensiero non significativo. In realtà, i significati che il bambino produce, le spiegazioni che cerca per tentare di dare e darsi risposte, sono di grande importanza e fortemente rivelatrici dei modi attraverso i quali il bambino sente, interroga e interpreta la realtà e i propri rapporti con essa.” (Carla Rinaldi, 2009)

Cosa fa il bambino quando ci pone i suoi “perchè”? Ci sta chiedendo delle risposte? O forse sta cercando adulti che si pongono in ascolto? Adulti che lo sostengano senza sopraffarlo? Adulti che lo ritengano “capace” di costruirsi da solo delle risposte? Adulti che anziché offrire una risposta pre-confezionata, siano capaci di tenere vivo il loro interesse moltiplicando le loro domande? 

Forse il segreto è racchiuso in questi interrogativi: l’atteggiamento di un adulto che sostiene il bambino nella ricerca dei suoi significati è una adulto che ha fiducia in lui, che lo fa sentire “visto e ascoltato”, che si offre come cassa di risonanza nella quale le sue domande si moltiplicano, si arricchiscono, si alimentano per dare forma ai pensieri, per mettere in circolo intuizioni, ipotesi, connessioni, tanto “vere” quanto vicine al loro procedere per tentativi. 

Forse i bambini non sono in cerca di risposte, ma di possibilità di essere “ri-cercatori”, con accanto adulti capaci di sostenere le loro indagini senza intrusioni e interferenze, ma con una presenza rassicurante.

In questo loro “ricercare”, le strade che portano alla formulazione di teorie e di interpretazioni della realtà sono molteplici, differenti le une dalle altre e tutte valide e importanti, perché frutto del loro “essere esseri competenti”.

Ma quali sono le ricerche dei bambini? 

Le “storie” dei bambini nascono dal gioco, quello serio dei bambini. 

Nascono dai ritrovamenti. Dai reperti. 

Nascono dall’incontro con i progetti cuciti su misura da loro e per loro.

Nascono nella quotidianità. Da gesti semplici. Incontri inaspettati.

Dialoghi identitari durante il gioco

Osservandosi i piedi scalzi durante il gioco i bambini si accorgono che il colore della pelle dei loro piedi cambia e si domandano perché sono tutti bambini ma hanno i piedi di colore diverso.

Elisa: “Siamo tutti diversi ma tutti uguali: c’è a chi piace la pasta rossa e a chi no, a chi piace l’insalata e a chi no, ma a tutti piace andare al parco a giocare sull’altalena”

Idea di “labirinto”

Dall’osservazione delle conchiglie (reperti estivi portati a scuola) Gabriele rintraccia una qualità nella struttura della conchiglia: “Dentro è fatta a spirale. 

Ma cos’è una spirale?

Nicol: “La spirale ce l’ha una farfalla o una mosca”.

Lory: “La spirale è l’aspirapolvere che aspira”.

Luca V: “È  una cosa che se la metti in acqua va dentro la conchiglia”.

Gabriele: “Vuol dire che dentro è rotondo, è come un labirinto e non sai dove è la via. Te lo faccio vedere con i sassi com’è fatto un labirinto!”

Pensieri “temporaleschi”

Durante l’assemblea del mattino i bambini si soffermano ad osservare il “tempo metereologico” dalla finestra: c’è il temporale. L’elemento del fulmine emerge dai loro scenari narrativi. 

Gabriele: “Il fulmine fa diventare il cielo più chiaro e il tuono è una scintilla.”

Luca V: “Il fulmine non è una scintilla perché  è tutto piegato, è a zigo zago”

  “Luminescenze” impreviste

Un contesto di gioco dove viene inserito un elemento di luce (lampada da tavolo) apre interrogativi generativi connessi a come la luce possa interagire con il corpo, modificandone le caratteristiche.

 Manuel: “Prima la mano era rosa, poi è andata vicina alla luce ed è diventata rossa”.

Luca V.: “Forse la mano diventa rossa perché la luce fa vedere tutto e si vede il sangue”.

I nomi del vento

Una giornata ventosa e l’eco del vento che risuona nella sezione sollecita i bambini ad interrogarsi su quel “rumore”. 

Elisa: “Ma il vento ha dei nomi?

Il gruppo:

VENTO FURIOSO

VENTO D’INVERNO

VENTO AZZURRO

VENTO TRASPARENTE

VENTO CHE SOFFIA

Nicolò: “Esiste il tornado, quando il vento da un paese molto lontano arriva molto arrabbiato.”

Elisa: “Si formano quando tutti i venti si uniscono, si arrabbiano e girano veloci.”

“Un condominio” nel cielo

Mentre attraversiamo il giardino della scuola, i bambini si soffermano a guardare il cielo e si accorgono di una stranezza. 

Erica: “Perché nel cielo ci sono sia il sole che la luna?”

Luca: “Forse perché il sole e la luna abitano vicini…”

Matilde: “Si! Il sole e la luna sono vicini di casa ma ogni tanto escono a giocare insieme a palla.”

Ri-crescita

Lo studio del corpo conduce i bambini ad indagare i capelli, approdando alla formulazione delle ipotesi della loro crescita.

Matteo: “Se tagliamo i capelli ne abbiamo pochi…”

Camilla: “… ma poi ricrescono.” 

Come fanno a ricrescere?

Matteo: “Forse dentro c’è qualcuno che li spinge fuori e si allungano.”

Francesca: “Quando ti lavi i capelli si allungano… come le piante.”

Immaginari “solari”

I raggi del sole che, attraversando le finestre, giungono nella sezione sollecitano i bambini a interrogarsi sui movimenti del sole.

Simone:«Il sole è un cerchio con dentro tanti pezzi che sono le sue gambe»

Leonardo:«le gambe del sole sono gambe perché va velocissimo… Si sposta e ci segue». 

Simone: «I raggi fanno muovere il sole»

Cosa ci rivelano queste storie?

Emergono bambini e bambine capaci di porsi domande, di elaborare interpretazioni, di formulare quella che potremmo chiamare una “teoria interpretativa” cioè una teoria, una narrazione, un’immagine che restituisca il senso delle cose.

“Una teoria, quindi che deve piacere, deve convincerci, deve essere utile e in grado di soddisfare le nostre esigenze intellettuali, affettive e anche estetiche” (Alberto Munari, 1993)

L’unicità delle teorie di ogni bambino risiede nella valenza del pensiero divergente, cioè  quella cornice di pensiero che viene alimentata dalla creatività e che si discosta dall’omologazione, dalla ripetitività, dalla schematicità. Divergente come capacità del pensiero di “sconfinare”, andare oltre, accogliere il nuovo, fare connessioni impreviste, dare valore all’inatteso.

Ma l’adulto è capace di cogliere tutto ciò senza cadere nella trappola di considerare divergente ciò che è poco pertinente, adeguato, logico e pertanto “vero”?

“Quando però i bambini capiscono che avere idee divergenti dalle insegnanti e dagli adulti non è sempre positivo, allora non muore il pensiero creativo ma muore la legittimazione della creatività del pensiero.” (Carla Rinaldi, 2009)

Questo significa che il posizionamento di noi adulti rispetto all’immagine di bambino è estremamente significativo: quando osserviamo un bambino, quando accogliamo le sue domande, quando li affianchiamo nel loro procedere all’interno delle esperienze, la qualità del nostro sguardo li sostiene o li mortifica, li incoraggia o li limita, li valorizza o li annulla.

Quando scegliamo di abitare i servizi educativi, e non solo, “dobbiamo sempre pensare” diceva Malaguzzi (1993), “al fatto che i bambini avvertono la necessità di trovare un senso a ciò che fanno. Quando un bambino trova, da solo, un significato, prova una gioia.”

La potenzialità di questi significati prodotti dal bambino risiede, inoltre, nella possibilità che hanno di essere messi in circolo, di essere condivisi: con l’adulto, con i coetanei, con il gruppo, con la comunità.

L’unicità di una teoria elaborata da una mente competente moltiplica il suo potenziale se condivisa, se raccontata, se diventa patrimonio di più menti, se circolando si arricchisce di conferme e di smentite, di andate e di ritorni, di addizioni e di sottrazioni.

In questo “i bambini, privilegiati dal fatto di non avere un eccessivo attaccamento alle proprie idee – che pur costruiscono e reinventano continuamente -, sono i più adatti a estrarre, a fare scoperte, a cambiare punti di vista, a innamorarsi delle forme e dei significati che trasformano, sono i più sensibili estimatori dei valori e degli utili della creatività.” (Malaguzzi, 1996)

E allora abbattiamo gli schemi nei quali noi adulti spesso rimaniamo intrappolati, poniamoci in ascolto delle teorie dei bambini e restituiamo loro la possibilità di divenire co-costruttori delle loro conoscenze a partire dalla valorizzazione delle loro idee.

Riconosciamoli come “cercatori” o cacciatori di storie che, attingendo ad immaginari magici o fantastici, si connettono con la realtà per dialogare con essa, per scoprirla,  per renderla comprensibile e narrabile, attraverso strade e sentieri unici.

Lasciamo che mettano in cantiere il loro pensiero come costruttori di significati possibili. 

Un sentito ringraziamento alle educatrici e insegnanti della Scuola Maria Bambina di Lissone che hanno raccolto, condiviso e donato queste storie dandoci la possibilità di entrare in questa danza tra teoria e quotidianità

 

 

Bibliografia 

Hoyuelos A., (2014), Il soggetto bambino, Edizioni Junior- Spaggiari Edizioni, Parma. 

Malaguzzi L., (1993), Relazione d’apertura. Modelli e congetture teorico e pratiche nell’educazione dei bambini, trascrizione di una conferenza, 19 maggio, Reggio Emilia, doc.440 TR-5. 

Malaguzzi L. (1996), I cento linguaggi dei bambini, in Autori Vari.

Munari A., (1993), Il sapere ritrovato. Conoscenza, apprendimento, formazione, Guerini e Associati, Milano. 

Rinaldi C., (2009), In dialogo con Reggio Emilia. Ascoltare, ricercare e apprendere, Reggio Children, Reggio Emilia.

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