Infanzia e natura: una relazione possibile?

Educazione e sviluppo infantile, Insegnanti ed educatori

di Chiara Ferrari, educatrice

 

 

Il tempo attuale è il tempo del disorientamento perché è aumentata la distanza tra l’uomo e le sue caratteristiche naturali.

Uomo e natura si sono allontanati così tanto che diventa sempre più difficile ritrovare il punto di contatto.

Ma cosa intendiamo con il termine natura? Una prima accezione fa riferimento a ciò che è naturale in quanto originario e costitutivo, ciò che appartiene all’uomo in quanto uomo e che, di conseguenza, non può essere insegnato dall’esterno. La celebre metafora che dipinge il bambino come una pianta (e che attraversa l’intera letteratura pedagogica da Rousseau in avanti) fa riferimento a questo primo significato. La seconda accezione del termine si riferisce invece alla natura intesa come ambiente e paesaggio non urbanizzato, contesto ideale per lo sviluppo spontaneo del bambino.

Perché è così importante consentire ai bambini spazi di interazione con l’ambiente naturale? Spesso le paure degli adulti riguardano, prima di tutto, valutazioni inerenti ai rischi in termini di salute e di sicurezza.

Diverse ricerche scientifiche, tuttavia, mettono in luce quanto l’esperienza a contatto con la natura contribuisca al benessere fisico e psicologico dell’individuo. Dal punto di vista fisico essa giova alla vista, all’udito, al sistema scheletrico e al peso. I bambini che hanno l’opportunità di vivere momenti all’aperto hanno un sistema immunitario migliore e mostrano livelli di stress meno elevati rispetto ai coetanei che non dispongono di tale possibilità. In questo ambiente ricco di stimoli sensoriali, inoltre, capacità d’attenzione e di concentrazione si sviluppano maggiormente.

I benefici non riguardano, però, solo la dimensione della salute. I bambini connessi alla natura sviluppano maggiori capacità psicologiche di adattamento e di sopravvivenza, perché la natura accresce le nostre capacità sensoriali, che sono il primo e più importante strumento di autodifesa.

L’esperienza senso-motoria che avviene in relazione con l’ambiente promuove, inoltre, uno sviluppo motorio più completo.

Non solo: azione, emozione e pensiero ritrovano una naturale connessione e l’esperienza viene sottratta alla frammentarietà. La natura, infatti, offre l’opportunità di fare un’esperienza olistica: alla sollecitazione dei sensi si affianca una naturale esperienza motoria ed emotiva ed a queste il pensiero.

Ancora: la dimensione della socialità riceve un grosso impulso in un ambiente in cui l’interazione e la cooperazione tra pari può avvenire più spontaneamente.

 

Non di minore importanza è il beneficio in termini di responsabilità ambientale: dal rapporto con la natura apprendiamo ad avere gesti rispettosi e di cura verso di essa, a entrarci in relazione in un’ottica di scambio e protezione, anziché di sfruttamento strumentale, e a divenire ricettivi rispetto a una visione globale orientata alla sostenibilità.

L’esperienza del bambino in natura, però, suscita molte paure nell’adulto, tra le quali quella di uno scarso valore in termini di apprendimento. Attualmente assistiamo ad un diffuso disconoscimento del valore di attività ludiche non strutturate, spontanee, cui vengono contrapposte esperienze di apprendimento finalizzate, standardizzate e guidate dall’adulto. Attività queste, orientate al saper fare. Al contrario, l’ambiente naturale si configura come lo spazio del saper essere e del saper stare. Si tratta di uno spazio ricco di stimoli, di possibilità di esplorazione e di opportunità di apprendimento. L’iniziativa spontanea e il desiderio di ricerca portano il bambino a osservare e a sperimentare, nel tentativo di rispondere in modo personale agli interrogativi che emergono naturalmente dalla relazione con esso.

Lo sviluppo di creatività e curiosità viene incentivato in un ambiente che permette attraversamenti personali e piste di indagine non determinabili a priori. Gli oggetti presenti in natura, non essendo identificati dal bambino come orientati ad una specifica funzione (come potrebbe essere invece il giocattolo confezionato), sollecitano fantasia e immaginazione e consentono utilizzi creativi e impertinenti: una foglia può così divenire parte di una composizione o di un collage, così come più sassi possono essere utilizzati per costruire una torre e fare esperienza dell’equilibrio e dei pesi.

In un ambiente di questo tipo diventano possibili l’errore e l’autocorrezione, l’ipotesi e la verifica, l’esperienza del rischio e la scoperta del proprio personale limite, sempre mutevole e mai definitivo. Condizione necessaria per questo, però, è un adulto che consenta al bambino di sostare e rispecchiarsi nell’ambiente senza necessariamente invitarlo ad agire. I bambini possono, così, fare esperienza della lentezza, per esempio, attraverso il prendersi cura di una pianta o di un orto: la cura richiede pazienza e rispetto di tempi naturali che, in quanto tali, non possono essere modificati dall’uomo. Questo tipo di attività pone i bambini nella condizione di dover sostenere la frustrazione dell’attesa, inevitabilmente legata ai cicli naturali, ma anche di affinare le proprie abilità manuali e di creare connessioni tra teoria e pratica attraverso l’esperienza del riflettere e del progettare. In questo modo essi apprendono informazioni scientifiche, sviluppano capacità previsionali e rafforzano il pensiero logico-interdipendente. Ancora: coltivare frutta e verdura è anche un modo per riappropriarsi di frammenti di storia familiare e di tradizioni della propria comunità locale…

Come possiamo porci di fronte alla richiesta dei nostri bambini di sperimentare spazi di interazione con l’ambiente naturale? Come ripensare il nostro ruolo in termini meno propositivi e intrusivi?

L’adulto è invitato a evitare di intervenire in modo anticipatorio rispetto a risposte, soluzioni e scoperte che il bambino è in grado di portare avanti in autonomia e a porsi in una posizione parallela, capace di restituire democraticità e reciprocità all’esperienza comune. Non solo: l’adulto è messo di fronte alla necessità di accettare un certo grado di imprevedibilità e di abbandonare l’idea di una definizione a priori del percorso, a favore di una continua osservazione di ciò che accade. Egli diventa così mediatore e regista, sostiene le conquiste e le scoperte del bambino, lo aiuta a rielaborarle e ad attribuire loro un significato condiviso.

Lo osserva e, partendo dai bisogni osservati, costruisce contesti per esperienze future.

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