di Simona Vigoni, pedagogista e psicomotricista
Foto: Asilo nido La Monelleria di Carignano, Genova
“Ogni volta che il gesto con il quale il bambino traccia le forme dettate dal suo organismo viene deviato, egli è vittima di una violenza(….). Far sì che il disegno serva a riprodurre gli oggetti, a descrivere, illustrare, è farlo coincidere con il linguaggio verbale che non ha invece bisogno di alcun ausiliario. E allora è come ammaestrare un bambino a camminare a quattro zampe annullando così le naturali funzioni delle sue mani senza alcun vantaggio per i suoi piedi.” (A. Stern, trad. 1973)
Così si esprimeva Arno Stern, l’inventore del Closlieu, l’Atelier dove bambini e adulti scoprono e riscoprono la gioia di esprimersi graficamente senza ansie produttive o estetiche, dove il “facilitatore” mai si esprime sul risultato grafico che quindi non viene valutato, corretto e confrontato.
Purtroppo invece, capita spesso che, perfino al Nido, non si lascia al bambino la libertà espressiva e ci si prodiga nel confezionargli suggerimenti, proposte di temi e, peggio ancora, nell’esprimere giudizi di valore sui suoi “elaborati”. E, purtroppo, capita anche di vedere sui tavoli del Nido, schede in formato A4 in cui sono riprodotte immagini da “colorare”, dimenticando che i bambini molto piccoli né sono ancora in grado di controllare e flettere bene il polso (non è certo sufficiente un foglio A4, figuriamoci rimanere nel contorno di una figura stampata!), né riconoscono il significato e la valenza di questa monotona e ripetitiva esperienza.
D’altra parte, spesso, quando si parla di libertà espressiva si travisa il significato e ci si immagina di immergersi in un mondo privo di regole: “non è vero che l’attività creativa sia favorita dalla totale assenza di regole. Lo spazio transizionale del gioco e della creatività deve essere libero da giudizi di valore, non da regole. Le regole danno sicurezza e quindi lasciano più libertà d’azione” (Munari, 1981). Le regole, nel nostro ipotetico laboratorio di pittura, possono essere verbalizzate poco prima di accedervi: “bambini, ora entriamo nel nostro posto speciale, potete usare tutto quello che trovate sul tavolo, senza farvi male l’uno con l’altro e poi, quando avete finito di giocare, insieme metteremo in ordine”…Mettere in ordine non significa far scomparire le tracce lasciate sui fogli o sul lenzuolo appeso alla parete. Le tracce sono orme, impronte, masse di colore, segni, quindi memorie da conservare per un percorso che proseguirà la volta successiva se i bambini lo vorranno…senza alcun condizionamento verbale da parte dell’adulto che li accompagna.
Una delle prime domande che, purtroppo, l’adulto pone al bambino intento a lasciare una traccia sul foglio è: che cosa è? dimenticandosi che “la produzione iconografica del bambino (…) è la parte visibile di un’azione interiore, personale e privata che si situa e acquisisce significato solo nell’ambito della sua personale ricerca di confronto con la realtà” (Munari, 1981). Domanda incomprensibile quindi per il bambino che si trova costretto, per compiacere l’adulto, a confezionare una risposta qualsiasi, a tradurre in un simbolo o in uno schema raffigurativo ciò che invece era per lui semplicemente e puramente…espressione.
“La scrittura selvaggia è quella che, in presa diretta, le sensazioni imprimono al gesto, prima che l’addomesticamento degli apprendistati grafici non la devii da questa funzione per farne del disegno; è anche quella che rinasce nell’uomo adulto (il bambino di ogni età) quando ritrova, nel Closlieu, l’uso primitivo delle sue facoltà. Allora parlo di espressione.”(A. Stern, trad.1973)
Le tracce si estendono, si dilatano, assumendo un infinito numero di forme a seconda del movimento del braccio, delle mani, del corpo intero: al piacere euristico e cinetico si aggiunge quello visivo, i segni lasciati casualmente diventano esempi da ripetere consapevolmente, qualche volta, per i più grandi, simboli raffigurativi sui quali mettere parole da condividere con i compagni…e allora da linguaggio espressivo il colore diventa linguaggio comunicativo. C’è chi per qualche istante si ferma, osserva i movimenti del vicino ed ecco un nuovo spunto da cui ripartire: le esperienze e le emozioni del singolo vengono fuse, lievitate e trasmesse al gruppo attraverso un processo di imitazione continua. Un dialogo spontaneo, apprendimento orizzontale, nel quale l’adulto è libero di inserirsi, ma con semplici interventi a specchio, privi di aggiunte, valutazioni o interpretazioni.
Ecco alcuni validi suggerimenti di Bruno Munari:
- Non suggerire mai ai bambini i soggetti dei loro disegni
- Non spiegare a parole ciò che può essere spiegato con l’esempio
- Non costringere il bambino a fare “un esercizio”
- Non dare giudizi di valore sui loro elaborati
- Non criticare, né correggere
Da “Il laboratorio per bambini a Brera”, B.Munari, 1981
Riferimenti bibliografici:
Arno Stern, Per una educazione creativa,Emme Edizioni, Milano 1973