Nei servizi e scuole per l’infanzia non è possibile mettere al centro il bambino senza includere la
sua famiglia, perchè l’educazione che produce benefici è quella che guarda a bambini e bambine nel
loro mondo di relazioni. Essere insieme educatori, insegnanti e genitori è un processo che presuppone saper ascoltare, saper sentire, avere consapevolezza, cioè richiede un modo di porsi aperto all’incontro con gli altri e alla capacità di rinnovare la conoscenza di sé.
Attraverso questo impegno è possibile realizzare quella esperienza di co-educazione che
favorisce il benessere dei bambini, perchè ogni bambino e bambina trae beneficio e apprende dalle
relazioni positive che gli adulti intorno a loro sanno costruire.
L’interesse di Antonella Questa verso il tema dell’educazione infantile nasce da una profonda osservazione della società contemporanea, dei comportamenti degli adulti, dei bambini e delle relazioni tra le generazioni, ora che paiono essere sempre più spesso fonte di sofferenza.
Base della ricerca – che ha condotto poi alla realizzazione dello spettacolo INFANZIA FELICE – è “Pedagogia nera” (Berlino, 1977) di K. Rutschky. Il testo enumera i metodi educativi usati dalla fine del ‘600 ai primi del ‘900, per crescere i bambini come bravi adulti obbedienti. Metodi che non tenevano minimamente conto dei bisogni del bambino, impedendogli l’espressione delle proprie emozioni, e che sono stati tramandati inevitabilmente di generazione in generazione.
Cos’è rimasto oggi della “pedagogia nera”? Persiste ancora una pedagogia ostile che mira a spezzare la spontaneità del bambino? Se sì, in quale forma si manifestano i suoi effetti nella società contemporanea? Come dissociarsi da quei modelli?
Con il tono ironico che contraddistingue anche i suoi spettacoli, Questa presenterà il tema e racconterà di come gli strumenti utilizzati nel proprio lavoro di autrice e attrice per tenere allenata la capacità di ascolto, funzionino in realtà su tutti noi e possano essere utili anche a insegnanti, educatori e genitori per risvegliare l’empatia. Solo ascoltando noi stessi e gli altri, infatti, potremo spezzare la velenosa catena della “mala educazione”.
Quali tinte possiede il nostro lessico familiare? Quali coreografie compongono i nostri gesti? Quali sguardi accompagnano le esplorazioni dei bambini e delle bambine? E con quali sguardi vengono restituite? Quale postura sostiene le loro ricerche? Parole, sguardi, gesti e posture costituiscono la trama del quotidiano nei servizi all’infanzia. Bambini e bambine iniziano a decifrare il mondo proprio attraverso questo vocabolario: quali grammatiche imparano i bambini e le bambine nei servizi 06?
Chi è un bambino? Potrebbe sembrare una domanda dalla risposta intuitiva, ma la psicologia dell’età evolutiva darebbe forse risposte diverse da quelle dell’adulto, aiutandolo a riflettere sul funzionamento e i bisogni, la fisiologia e il disagio.
Stimolando la conoscenza di come è fatto un bambino e di cosa chieda l’infanzia per essere accompagnata e protetta, la relazione tra il grande e il piccolo diventa una storia di personaggi buoni, la più bella possibile da raccontare.
Il processo educativo, contrariamente al processo istruttivo, contribuisce a formare l’Io Competente di bambini e bambine attraverso la “cura delle radici”, fondata sulla relazione intima ed empatica tra due corpi significanti: quello dell’adulto e quello del bambino.
Appoggiandoci al mito dello “scudo di Atena” offerto a Perseo per vincere la Medusa, rifletteremo
insieme su come l’attenta e cosciente gestione delle relazioni emotive e la messa in campo di opportune strategie educative, permette agli operatori della prima infanzia di rivendicare l’orgoglio educativo di diventare protagonisti di un efficace “sguardo ostetrico” nei confronti della nascita dell’Io Competente.
Inoltre, lo stesso “scudo di Atena” mette in guardia gli operatori 0-6 dal pericolo derivante
dall’applicazione, in ambito educativo, dell’approccio medico volto a “curare i sintomi”. L’educazione, tramite l’interazione di corpi significanti, dovrebbe invece trasformare i sintomi in messaggi da accogliere, privilegiando il “prendersi cura” specifico della “pedagogia palliativa”.
Le esperienze traumatiche vissute nell’infanzia in seguito a esperienze avverse (ACEs), come abusi, violenze, trascuratezza o perdite, oppure a traumi complessi, possono avere effetti negativi sullo sviluppo fisico, emotivo, cognitivo e relazionale di bambini e bambine, compromettendo il loro benessere e il loro apprendimento. Per questo motivo, è fondamentale che educatrici, educatori, insegnanti e tutti coloro che operano nei contesti educativo-scolastici adottino delle pratiche sensibili al trauma (trauma informed practices) per ridurne l’impatto. Si tratta di una serie di strategie pedagogico-relazionali volte a creare un ambiente sicuro, accogliente, empatico e inclusivo per ciascuno. Tra queste pratiche, un ruolo chiave è svolto dalla consapevolezza di sé degli educatori e degli insegnanti, grazie al riconoscimento delle proprie emozioni, dei propri bisogni e limiti, nonché dalla capacità di gestire lo stress. La consapevolezza di sé favorisce infatti una maggiore sensibilità verso le esigenze di bambini e bambine, una migliore regolazione emotiva e una più efficace comunicazione. In questo modo, i professionisti dell’educazione possono offrire sia ai bambini che hanno vissuto eventi traumatici, che al resto del gruppo, un sostegno adeguato, promuovendo la loro resilienza e il loro benessere.
In un mondo sempre più interconnesso e in evoluzione, malgrado nuove ricerche facciano sempre più leva sul ruolo direttivo del cervello, molti educatori stanno realizzando che le abilità cognitive non sono l’unico fattore determinante per far si che le nuove generazioni possano prosperare nella società odierna. Ma c’è di più, molto di più. La mente è la dimora del nostro intelletto, ma è il cuore a essere la casa dei nostri sensi intuitivi: una fonte di guida molto influente, collegata a un sistema di orientamento di capacità superiori, essenziali per la creatività, per generare soluzioni adeguate e, soprattutto, per stabilire relazioni più profonde e attente con gli altri. Sebbene la gran parte delle tradizioni culturali di tutto il pianeta abbia suggellato il potere di questo organo, oggi a darne conferma è la scienza di frontiera che ha dimostrato che il cuore rappresenta un punto di accesso a una fonte di saggezza e intelligenza che possiamo invocare per vivere con maggiore benessere ed equilibrio. Avvicinarsi al cuore con un’ottica scientifica, comprendere le sue dinamiche, passando in rassegna le più recenti scoperte delle neuroscienze e della biofisica dell’ultimo secolo diventa, oggi, il mezzo capace di condurre verso un cambio di prospettiva che offre conoscenza e strumenti concreti per promuovere percorsi educativi che permettano ad ogni individuo di brillare come “essere umano”.