di Adriano Capoccia, Asilo Nido La Caracolita, Roma
Questo articolo nasce dallo spirito battagliero e un po’ polemico di chi intraprende un progetto ambizioso come quello di cambiare radicalmente le abitudini educative della scuola e della famiglia. 😉
Da coordinatore e gestore di un nido Convenzionato con il Comune di Roma, negli ultimi 4 anni ho intrapreso un percorso verso una scuola all’aperto e una scuola di quartiere.
Per fortuna, negli ultimi anni le scuole outdoor suscitano molto interesse in tutti i contesti sociali: se prima questa modalità educativa era predominante nelle zone rurali, attualmente si sta sviluppando nei grandi centri abitati, dove l’abitudine a confrontarsi con ambienti naturali può risultare scarsa e talvolta stereotipata.
La problematica da affrontare quando si inizia un progetto del genere è, spesso, la comunicazione con le famiglie le quali possono essere spaventate dai possibili “pericoli” o hanno delle false aspettative rispetto al lavoro degli educatori.
Il punto sul quale vorrei soffermarmi in questo articolo è quello del concetto di “igiene” al nido.
Partiamo dalla definizione che ci fornisce la Treccani: “Il complesso delle norme igieniche, in quanto siano o no osservate e attuate, soprattutto con riferimento alla pulizia personale o degli ambienti: l’i. del corpo, della bocca, delle parti intime (o i. intima); l’i. della casa, dei collegi, delle caserme; rispettare, curare l’i.; trascurare le più elementari regole d’igiene” e andando ancora più a fondo e parlando della pulizia degli ambienti, nasce il grande equivoco o paradosso oggetto di questo articolo.
Infatti, talvolta, il genitore che porta suo figlio in una scuola “fuori” potrebbe ritenere che la presenza di terra, erba o altro all’interno della sezione possa essere considerata mancanza di igiene, richiedendo una continua sterilizziazione degli ambienti e dei giochi. Ma di fatto, fino a un momento prima, in giardino, il bambino ha giocato con quella stessa terra, e i suoi giocattoli erano il legnetto, la pigna, l’erba ecc…
Talvolta succede che avvenga una scissione fra dentro e fuori, per cui “fuori” ci si può sporcare, giocare con le pozzanghere e la terra, bagnarsi, mentre dentro diventa un mondo a sé: un mondo pieno di protezioni, di attenzioni e di ricerca di igiene totale.
Il fatto è che ci stiamo preoccupando di un falso problema, senza renderci conto che la malattia che presto dovremo combattere è quella che Richard Louv chiama “ disturbo da deficit di natura” . Egli, nel suo libro “L’ultimo bambino nei boschi: salvare i nostri figli dal disturbo da carenza di natura” (Rizzoli, 2006), sostiene che la separazione dagli elementi naturali faccia molto male alla salute. Soprattutto a quella dei bimbi e degli adolescenti, che ormai si vedono quasi sempre costretti a crescere separati dagli alberi e dalla terra, dai fili d’erba, dalle ghiande e dai semi, dai formicai e dagli stagni brulicanti di vita, dai nidi colmi di uova e dalle crisalidi attaccate alle foglie.
Il disagio emotivo con cui bambini sempre più piccoli si trovano a fare i conti è un dato di fatto e le conseguenze del deficit di natura, spesso, sono iperattività, disturbi dell’attenzione, aggressività ecc.
Credo che sia importante uscire da questa dicotomia tra dentro e fuori la sezione (o dentro e fuori casa).
Piuttosto farebbe bene a tutti, adulti e bambini, vivere i nostri quartieri, le nostre comunità, come grandi “spazi educativi condivisi” e riuscire a far passare alle famiglie l’importanza di questo riavvicinamento, anche attraverso incontri ad hoc per far conoscere le scuole all’aperto ed il modello educativo che le anima.
“Il compito del moderno educatore non è di disboscare giungle, ma di irrigare deserti.”(C.S. Lewis)