Perché il gioco non ha età. Ma bisogna saper giocare

Educazione e sviluppo infantile

di Ilaria Bartolucci, pedagogista, titolare del nido “Lo Stupore delle Meraviglie”

 

In questi giorni ho un sacco di domande, dubbi, riflessioni.

Inizio con il constatare che basta ascoltare ed osservare i bambini mentre passeggiano o sono seduti: la maggior parte di loro è solita indicare con il dito indice, un gesto del tutto naturale che accomuna anche noi adulti.

Ma come mai ci sono bambini che indicano la luna e il tramonto, le stelle e un fiore, ed altri che puntano il dito verso ciò che reputano diverso?

Qual è la differenza?

Perché arrivano a questo?

Non sono pur sempre bambini?

Indicare e puntare, guardare ed osservare.

Come mai ad alcuni lo Stupore e la Meraviglia si sfuma ancor prima di nascere e ad altri rimane fino a quando diventano anziani?

Noto sempre più spesso quanto poco sappiano GIOCARE i bambini, specie quelli della primaria. Non si vogliono sedere su un prato o sulla terra perché dicono che è sporco, non sanno arrampicarsi al parco giochi o salire e scendere da una scarpata. Non sanno correre, saltare, cadere e fare capriole. Non sono mai andati con il tram, a teatro o dal fruttivendolo.

Non sanno inventare e riempire il loro tempo, perché li abbiamo abituati a un tempo pieno, tra attività e proposte, un tempo in cui il ruolo dell’adulto è quello di conducente e quello del bambino di passeggero.

Vogliamo questo per loro?

Che ci siano persone che decidono, che svoltano o fanno sosta perché pensano che sia arrivato il momento di cambiare direzione o di fermarsi?

I bambini non hanno bisogno di UN momento, ma di QUEL momento.

Li osservo e mi dispiaccio.

Mi commuove il solo pensiero che non abbiano mai saltato su una pozzanghera, guardato le stelle di notte, magari sdraiati in un bosco. Non abbiano mai visto il nido di un uccellino e scavato nella terra dopo un temporale per veder uscire un lombrico.

Mi rattrista che non conoscano animali, piante e fiori, ma sappiano centinai di nomi di youtubers, i quali diventano i loro idoli!

Mi si stringe il cuore quando raccontano che preferiscono usare tablet e cellulare, anche durante i pasti, per guardare i cartoni e per GIOCARE.

Possiamo realmente noi adulti lasciar crescere bambini che credono che il GIOCO sia solo digitale? Che non sanno che cosa significhi sbucciarsi un ginocchio ma riconoscono la sensazione del pollice ‘addormentato/atrofizzato’ che digita su uno schermo? Che percepiscono un bruciore agli occhi per le troppe ore passate davanti agli schermi e non perché ridono a crepapelle o per il vento che soffia sul loro viso?

Crediamo realmente che non far andare al parco i bambini, non farli arrampicare e sporcare siano i pericoli da evitare, mentre non mettere filtri ai dispositivi sia sicuro perché infondo sono dentro casa con noi?

A 7 anni mi raccontano di vedere video hot, di GIOCARE a giochi violenti e guardare film horror, ma non conoscono 1 2 3 Stella o Strega comanda color. Mi confidano che usano spesso tablet e cellulari perché tengono loro compagnia, gli insegnano cose nuove e li fanno divertire.

Pensiamo che possano essere adulti regolati emotivamente se crescono in questo modo?
Soffrono. Stanno soffrendo. Sempre più. E noi dove siamo? Dove stiamo andando? Cosa stiamo guardando?

Se per curar questo male gli regaliamo due cellulari per la comunione invece che accoglierli emotivamente e fisicamente dobbiamo fermarci, forse abbiamo sbagliato direzione, forse dovremmo diventare passeggeri e farci condurre da loro.

Vi è un disagio profondo. Silente. Che striscia dentro molti bambini. E’ un vero e proprio allarme educativo.

Sono 18 anni che lavoro nel campo dei minori, ed ogni anno il fenomeno è più evidente.
Si cura la copertina ma non il contenuto.

Dobbiamo svegliarci da questo torpore.

Smetterla di rendere bambini sempre più adultizzati ed adulti sempre più infantili.
Dobbiamo riprenderci le nostre responsabilità, soprattutto se abbiamo messo al mondo dei figli. Dobbiamo occuparci di loro. Dobbiamo esserci. Non solo quando ci fa comodo.

Non diamoci per vinti. Non molliamo. Nulla è perso se ci crediamo.

Sempre più famiglie sono attente a questo disagio, insieme ad educatori, maestri e specialisti, sempre più convinti che partendo da noi, dal bambino che siamo stati e dall’adulto che siamo, molto si possa evitare.

Genitori alla ricerca di una Vera e Propria Cultura dell’Infanzia, che distinguono e scelgono luoghi e persone per affidare le loro meraviglie, mettendo al primo posto non i propri interessi e la propria comodità, ma lo sviluppo libero e liberato del loro bambino, con validi contenitori educativi emozionali al loro fianco. Educatori e maestri che destrutturano e offrono luoghi pensati.

Papà e mamme che amano vederli sporcare e GIOCARE. Che desiderano che si esprimano liberamente, alla scoperta del proprio Io e del mondo che li circonda. Sanno che se vanno al parco o ad una sagra, il loro bambino si butterà sul prato per rotolarsi, inizierà a grattar terra e sabbia; farà castelli coi sassolini e capanne coi legnetti, e probabilmente vorrà sempre correre a piedi nudi su qualsiasi superficie e in qualsiasi stagione. Com’è naturale che sia.

Sono affamati di sapere i bambini, vogliono capire, studiare, sperimentare, formulare ipotesi, proprio come degli scienziati, e per far questo devono poter GIOCARE. Devono farlo a modo loro però, per seguire ciò che più li attrae, per comprendere quello che li incuriosisce. Mettiamoci in un angolino ad osservarli, impareremo sul campo. Ci faranno entrare nella profondità del loro Io, ci mostreranno dettagli che sfuggono al nostro sguardo, ci riveleranno gli angoli più bui e nascosti, dove solo loro sanno arrivare e guardare. Ci dimostreranno che le cose possono essere diverse da quel che sono, che son dotati naturalmente di un pensiero convergente e divergente, di abilità logico-matematiche e narrative. E’ a questo punto che saremo in grado di proporre e presentare giochi e materiali in linea con i loro interessi, dopo averli a lungo osservati GIOCARE. E’ il famoso apprendimento personalizzato ed individualizzato di cui si parla tanto a scuola.

Riconosciamo che il GIOCO, quello vero, è una cosa seria, che va preservata, tutelata e garantita.
Perché è il gioco che insegna a vivere, a conoscere il mondo, ma prima di tutto se stessi.
E se ho la fortuna di conoscere me stesso non vedrò mai uno straniero o un forestiero davanti a me, ma un’altra PERSONA da rispettare, con la sua storia da raccontare.

E da qui che si potrebbe ripartire. Auspicare ad avere adulti migliori di noi in futuro: non è forse questa la nostra missione?

Viva la vita……nonostante tutto.

 

 

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