di Annalisa Falcone, pedagogista
Sono tempi estremamente fluidi, in cui la bussola del nostro fare educazione è in continuo movimento, con pochi e flebili punti di riferimento.
In tale marasma, le emozioni si mescolano con facilità, colorate di ansia e preoccupazione per ciò che avverrà domani, e la certezza che fare progettazioni comporta l’alto rischio di vedere tutto sgretolarsi di fronte al nostro sguardo.
Le paure diventano ingombranti nelle nostra modalità di fare educazione, con conseguenze ampie e gravi su più livelli. Sono ansie relative agli aspetti economici, alle dinamiche che ruotano attorno alla malattia e ciò che comporta, alle ricadute nell’ambito privato e familiare. Insomma, un vortice che, se non lo sappiamo gestire, può inghiottirci.
In un contesto così sensibile, diventa essenziale sottolineare la nostra professionalità e riconoscere il nostro stato di allerta, la necessità di chiedere aiuto quando l’angoscia ci pervade, anche solo con una semplice ammissione alla collega: “Oggi sono davvero preoccupata”. Verbalizzando emozioni e bisogni possiamo iniziare ad elaborare una risposta. Creando un contesto accogliente a 360 gradi, possiamo fare della cura autentica e reciproca la nostra bandiera.
Imparare a chiedere aiuto è un passo imprescindibile del nostro essere educatrici, e comprendere che non siamo delle supereroine con le bacchette magiche è un atto doveroso nei nostri confronti. Mentre compiamo questo estremo lavoro interiore, non dobbiamo dimenticarci della profonda responsabilità che il nostro mandato ci consegna.
La letteratura è colma di richiami alla figura dell’educatrice, con una serie massiccia di suggerimenti e definizioni che sottolineano l’importanza del ruolo professionale ricoperto lungo il percorso di sviluppo dei bambini che incontriamo. Per questo, se provare emozioni spiacevoli è un dato di fatto oggettivo e naturale, assumere una posizione di fiducia e positività verso il mondo acquista un significato imponente. Ciò non si traduce nel fingere di fronte ai nostri bambini, e nemmeno nel colorare arcobaleni con il consueto “Andrà tutto bene”, ma si tratta di compiere un’opera costante di riflessione pedagogica che, come facilitatori degli apprendimenti, compiamo ogni giorno all’interno dei servizi educativi.
Le notizie viaggiano a passi sempre più veloci, ma dobbiamo mantenere lo sguardo aperto verso un futuro possibile e quantomeno roseo. Significa trovare itinerari differenti per dare forma alle nostre preoccupazioni, ma allo stesso tempo continuare a mettere al primo posto la pedagogia e sottolineare l’importanza delle buone prassi educative che hanno, oggi più che mai, un peso notevole in una ordinarietà così friabile.
Questo è un invito a lavorare per una scuola aperta per tutti ed a tutti e ad impegnarci per plasmare ciò che sarà con contorni colmi di speranza perché l’educazione può far davvero la differenza nel mondo.