di Chiara Degli Esposti e Ornella Cavalluzzi
Stiamo vivendo una situazione mai vissuta prima, il mondo si è fermato e con lui anche il nostro respiro. Siamo stati colpiti da una pandemia e con essa siamo entrati in un’epoca in cui sono cambiati radicalmente i consueti paradigmi relazionali: la vicinanza con l’altro è diventata pericolosa, abbiamo smesso di abbracciarci e di baciarci, abbiamo interrotto o comunque estremamente ridotto gli incontri con amici e parenti.
I decreti sulla sicurezza cambiano gli scenari nel giro di pochi giorni e con essi saltano molte delle nostre certezze, delle nostre abitudini quotidiane, delle situazioni note, dei modi di vivere che davamo per scontati. Lo scontato è ciò che ci limitava e sosteneva senza bisogno di pensarci. Senza di esso il terreno trema e ci sentiamo vacillare. Al timore per il contagio e all’incertezza dei cambiamenti repentini si è presto aggiunto il timore per la situazione lavorativa ed economica, portandoci a vivere in uno stato di perenne allerta e mettendoci in contatto con la nostra vulnerabilità e le nostre paure più profonde.
Ci si può abituare alle mascherine e al lavaggio frequente delle mani ma è difficile e forse impossibile abituarsi al distanziamento, alla mancanza di abbracci e del calore dell’altro. Ci hanno aiutato la tecnologia, le videochiamate, i whatsapp. Ma è importante riconoscere apertamente che vedere i nostri parenti o amici online, fare una riunione con le colleghe su zoom, non è la stessa cosa che incontrarsi dal vivo. Un video non può sostituire la presenza e non può colmare il bisogno profondo e umano di connessione con l’altro.
Ma abbiamo imparato a resistere: resistere allo sconforto e alla profonda solitudine che si crea dentro e fuori di noi. Resistere alla paura di uno sviluppo degli eventi maggiormente catastrofico, alla paura della malattia, della morte. Come educatori e professionisti che si occupano di bambini e delle famiglie abbiamo però il dovere di resistere alla tentazione di dimenticare e negare ciò che sta accadendo e accettare con umiltà di non essere sempre al 100% presenti per i nostri utenti o di non avere le energie che di solito avavamo per incontrarli. Dobbiamo imparare ad accettare e abbracciare la nostra vulnerabilità e affrontare una doppia sfida, quella personale data dalla “di-gestione” di tutto questo e quella lavorativa che ci spinge ad essere porto sicuro in un mare in tempesta. Ma come si fa a prendersi cura dei bambini e dei genitori se ci sentiamo esausti, sopraffatti? Come si fa se ci troviamo anche noi in mezzo alla tempesta? Chi ci conosce sa che per noi le parole chiave sono sostegno e condivisione. Il poter esprimere quello che viviamo e pensiamo, il fatto di condividerlo con gli altri, il poter dare un senso, non una soluzione, a quello che stiamo vivendo, è un modo per trovare e intravedere delle vie da percorrere e uscire dalla solitudine e dal senso di smarrimento che caratterizzano questo inusuale periodo storico. In questo modo compiamo il primo passaggio che ci costituisce come esseri umani: creiamo un mondo comune e ritroviamo un senso di appartenenza.
Quel senso di appartenenza che fino a febbraio dello scorso anno davamo per scontato, come il fatto di poter contare sul sostegno e l’appoggio delle colleghe. Oggi lavoriamo isolate nella nostra bolla con il gruppo dei bambini assegnato. Esattamente come nella vita così nel lavoro, siamo distanti e divisi dalla paura che il contatto, le relazioni possano essere la causa di accadimenti che mettono a rischio la nostra salute. E “Nella nostra bolla” ci sentiamo più vulnerabili , più arrabbiate, più preoccupate, più in ansia e più in difficoltà nel sostenere le fatiche dei bambini e dei genitori coinvolti come noi in questa particolare e nuova situazione.
“Nella nostra bolla” preoccupazioni e dubbi risuonano in solitudine senza lo sguardo o la parola di confronto e conforto di cui tanto abbiamo bisogno.
Oggi allora più che mai è fondamentale prenderci cura delle nostre emozioni. Saperle ascoltare ed accettare è la chiave che ci consente di mantenere vivo il dialogo empatico con noi stessi, e di portare l’attenzione al nostro mondo interiore e ai nostri bisogni.
Soltanto quando ci prendiamo cura di noi stessi possiamo prenderci cura degli altri. Prenderci cura di noi significa accettare tutti i nostri sentimenti, anche quelli che ci fanno sentire inadeguati e che tendiamo a nascondere. Metterci in sincero ascolto di noi stessi ci permette di entrare in contatto con l’altro e di accertarlo nel suo essere, ci aiuta a leggere le sue emozioni e ad entrare in empatia.
E’ quando riusciamo ad ascoltarci e ad abbracciarci per quello che siamo, che riusciamo a connetterci nuovamente con il mondo e torniamo a sentire il forte legame che abbiamo con l’altro: quel altro che è parte di noi e che viaggia insieme noi in un mare incerto. Questo viaggio se affrontato insieme con il cuore e con la mente può essere un’avventura incredibile.
Proponendo l’incontro “Nella mia bolla “ desideriamo partire per questo viaggio insieme. L’incontro della durata di 4 ore è interamente esperienziale. in uno spazio accogliente e non giudicante vi guideremo attraverso fantasie guidate e disegni in un ascolto più profondo di voi stessi per riscoprire insieme l’importanza del sostegno, del confronto e dell’appartenere.