La neurocezione al nido: riflessioni sulla quotidianità

Educazione e sviluppo infantile
La neurocezione al nido - Percorsi Formativi 06

di Protima Agostini, coordinatrice pedagogica

* Nell’articolo usiamo nomi di fantasia

Raffaele, 3 anni, oggi ha graffiato Mattia….così… “senza motivo”, improvvisamente…..eppure Mattia si era solo avvicinato a Raffaele “senza fargli nulla….”Sovente Raffaele graffia e morde i compagni….se può si “isola”, senza interagire attivamente con gli altri, solo con noi educatrici e solo se siamo noi a coinvolgerlo…..

Gaia, 30 mesi, non partecipa alle esperienze in sezione….sembra che non le piaccia nulla, che non sia interessata…..ogni tanto, ma raramente, osserviamo che le piace disegnare….ma a volte sembra che non ne abbia voglia, che nemmeno il disegno la entusiasmi….

Cecilia, 1 anno, non accetta le regole o i no, cerchiamo di essere sempre tutti molto accoglienti, ma ad ogni no reagisce con pianti inconsolabili…..

Samuele, 15 mesi, in ambientamento, piange disperato….cerco di tenerlo il più possibile vicino a me, ma è faticoso perché c’è tutto il gruppo di bimbi, e se poi anche gli altri mi chiedono le stesse attenzioni?

Mi hanno detto di non tenere tanto i bambini in braccio, eppure la teoria dell’attaccamento, quando l’ho studiata, mi sembrava non essere in linea con questo approccio….non capisco come comportarmi….

Queste sono solo alcune delle situazioni, degli interrogativi che talvolta possiamo incontrare al Nido, confrontandoci con le educatrici.

Per la mia esperienza di coordinatrice, sto sperimentando come la formazione svolta sulla teoria polivagale (TP) con Silvia Iaccarino,  mi stia aiutando a leggere queste situazioni (e mille altre) con una lente che coniuga tanto aspetti progettuali che emotivo-affettivi e relazionali, collegandosi alla teoria dell’attaccamento (in questo articolo è possibile leggere le basi della TP).

La neurocezione è come un radar

Riprendendo le situazioni di cui sopra:

  • e se, per esempio, Raffaele avesse avvertito un senso di “minaccia” nell’avvicinamento di Mattia? Se la sua neurocezione (il radar che “legge e interpreta” l’ambiente circostante e innesca una spontanea reazione difensiva) avesse avvertito un “pericolo” pur in un gesto di avvicinamento che non aveva minimamente quello scopo?

 

  • E se Gaia non riuscisse a stare, in alcune condizioni, nel suo vagoventrale, ovvero nella piattaforma neurale del coinvolgimento sociale, dove aprirsi all’apprendimento e alle altre esperienze sociali e cognitive?

 

  • Cecilia perché sembra non accettare le regole e i no? Quali no? In quali condizioni? Come sta Cecilia? Cosa significa per lei il no? Come lo legge la sua neurocezione? Lo legge forse come una minaccia?

 

  • Samuele di cosa ha bisogno? Come legge la sua neurocezione l’ambiente circostante? Finché non potrà sentirsi protetto e al sicuro non potrà stare in uno stato ventrovagale ed essere sereno, aperto al coinvolgimento sociale, interagire con le educatrici e gli altri bambini, esplorare: potrebbe quindi attivare la difesa in modalità attacco-fuga oppure nella dis-perazione.

 

Raffaele forse avrebbe bisogno di uno spazio diverso: magari più ampio, in cui non sentire i compagni troppo vicini (sensazione che provoca in lui un senso di non sicurezza, addirittura di “minaccia”).

A volte può bastare anche solo uno sguardo per sentirsi minacciati e scendere nel sistema simpatico di difesa con conseguente lotta o fuga.

Raffaele sta bene e dunque non graffia e non morde quando trova uno spazio per lui rassicurante, di intimità, quando gioca, sperimenta ed esplora in piccolo gruppo, quando l’ambiente e gli stimoli attorno a lui non sono troppo forti, quando sente sicurezza attorno a lui, non sente imprevedibilità (aspetti questi che la sua neurocezione interpreta come “pericolo”), quando i momenti di cura sono svolti senza fretta, rispettando i suoi ritmi e bisogni; alcuni tipi di musica rilassante, inoltre, espandono il suo vagoventrale e lo aiutano a rimanere in questo stato neurale o tornarci nel caso avverta minaccia o insicurezza nell’ambiente.

Gaia allo stesso modo si dedica al disegno (sua attività preferenziale) solo quando si trova in ventrovagale: anche lei ha bisogno di esperienze che le permettano di ritrovare e restare in questo stato. Quando scende nel simpatico o nel dorsovagale non disegna volentieri, addirittura sembra non le piaccia disegnare. In piccolo gruppo, quando si sente accolta, protetta, ascoltata, in uno spazio per lei adeguato si coinvolge spontaneamente, e non solo nel disegno, lasciando spazio alla sperimentazione e alle attività anche cognitive.

Cecilia al nido è serena, gioca, interagisce con un coinvolgimento attivo…ma quando si presenta il limite reagisce con forte opposizione e disperazione….riflettiamo anche con la famiglia su quali “no” sono davvero necessari, ci interroghiamo sul significato che la sua neurocezione assegna al limite, proviamo a non mettere troppi vincoli, scegliamo quando, come, quanto.

Samuele ha bisogno di ritrovare la base sicura per restare in ventrovagale, e segnala il suo bisogno di accostamento e avvicinamento. Ogni bambino ha bisogno di un ambiente adatto a lui, dove sentirsi al sicuro.

Il senso di “minaccia” e “pericolo” può essere avvertito anche in ambienti di per se’ assolutamente adeguati e rassicuranti.
Situazioni che possono attivare un senso di insicurezza, per esempio, sono: troppi stimoli (o troppo pochi), i momenti di transizione da un’attività all’altra, o da un momento di cura ad un altro momento della giornata, l’accoglienza e l’uscita a fine giornata sono a volte momenti più difficili da gestire emotivamente per alcuni bambini, perché cambiano  i ritmi, i rumori, le voci, inoltre entrano in gioco le forti emozioni del distacco e del ricongiungimento dai familiari.

Un ambiente nuovo può far sentire un bambino più esposto a pericoli proprio perché non conosce il contesto e le persone che lo abitano, e questo contribuisce ad inibire l’esplorazione e l’interazione (possibili quando si è in ventrovagale), perché il contesto può essere vissuto come “minaccioso”, e porta il bambino ad attivare i sistemi difensivi, e nel caso di Samuele, per esempio a piangere e sentirsi invaso dalla disperazione.

La teoria dell’attaccamento

Un’ulteriore riflessione, grazie ai contributi della teoria dell’attaccamento, porta a evidenziare che noi adulti dovremmo essere capaci di leggere quando il senso di sicurezza è attivo e permette l’apertura del bambino verso l’esplorazione del contesto, dello spazio, delle relazioni con gli altri.

Grazie alle ricerche e ai nuovi studi delle neuroscienze, intrecciati con la teoria dell’attaccamento, la nostra idea di bambino sta cambiando.

Stiamo, per fortuna, man mano superando la visione del bambino “capriccioso, birichino, furbetto, che lo fa apposta, che ci sfida, che se lo tengo troppo in braccio si abitua e si vizia” e stiamo abbracciando nuove visioni che ci aiutano a leggere i comportamenti dei bambini in modo più benevolo e realistico.

Oggi, infatti, sappiamo che il bambino piccolo esprime dei bisogni, nei modi in cui è in grado di esprimerli e che non sono capricci. Sappiamo che il bambino è competente: possiamo osservare e cogliere le sue piste progettuali, le sue modalità di scoprire il mondo, il suo bisogno di esplorare e di scoprire. Il nostro ruolo di adulti accoglienti e rispettosi, ci dovrebbe portare a leggere i comportamenti come messaggi e riflettere sulle emozioni che li originano.

Di strada negli anni se ne è percorsa tanta, nel mutamento di paradigma e nella visione del bambino e dell’infanzia, così come nell’evoluzione dei servizi per la prima infanzia che contempla moltissimi aspetti: i bisogni emotivi e psicologici, il bisogno di sentirsi al sicuro, gli spazi, i materiali, la progettazione educativa, il coinvolgimento delle famiglie, il dialogo, la creazione di comunità educanti, il ruolo dell’educatore ecc…

Sicuramente ci sarà ancora molto da scoprire e imparare. Ricordiamoci sempre di avere fiducia nei bambini, osservarli e stare in ascolto: loro sanno indicarci soluzioni e strade possibili, per rispondere ai propri bisogni.

Queste strade percorrono sentieri che rivelano una complessità tutta da esplorare e conoscere, perché le variabili in gioco sono molteplici e come le reti neurali formano un reticolo le cui componenti sono in stretto collegamento.

 

Bibliografia

  • Bowlby, Attaccamento e perdita vol. 1,2,3, Bollati Boringhieri, 1999-2000
  • Bowlby, Una base sicura Raffaello Cortina, 1989
  • Bowlby, Costruzione e rottura dei legami affettivi, Raffaello Cortina, 1982
  • Mainetti, L. Cosmai, Gli spazi e i materiali nei servizi e nelle scuole per l’infanzia
  • Malaguzzi, I cento linguaggi dei bambini. L’approccio di Reggio Emilia all’educazione dell’infanzia Junior, 2014
  • Porges, La guida alla teoria polivagale. Il potere trasformativo della sensazione di sicurezza, Giovanni Fioriti, 2018
  • J. Siegel, T.B. Bryson, Yes brain. Come valorizzare le risorse del bambino, Raffaello Cortina, 2018

 

Nota sulla teoria polivagale di Stephen Porges

Porges evidenzia l’importanza per noi esseri umani, per poter funzionare sul piano soprattutto sociale, di sentirci al sicuro nell’ambiente e nelle relazioni. Noi mammiferi percepiamo l’ambiente come “sicuro” o “minaccioso”. La nostra neurocezione, come un radar, scandaglia l’ambiente circostante per avvertire segnali di eventuale pericolo fisico o psicologico, e garantirci la sopravvivenza, e lo fa in modo completamente automatico e fuori dalla nostra consapevolezza. Nel caso la neurocezione ci segnali un pericolo nell’ambiente circostante, il SNA (sistema nervoso autonomo) attiva i nostri meccanismi difensivi biologici di base:

  • Il sistema simpatico è deputato alla lotta/fuga in caso di minaccia, si collega alla rabbia ad esempio e all’evitamento.
  • Il sistema dorsovagale si attiva invece quando non è possibile la mobilizzazione per difendersi, quando il pericolo è avvertito come non affrontabile, e dunque ci immobilizziamo (finta morte), collegato anche allo svenimento, dissociazione, disperazione e angoscia.
  • La via vagale filogeneticamente più recente è definita da Porges vagoventrale e si riferisce al sistema del coinvolgimento sociale: è la piattaforma neurale che guida le relazioni. Questa via è utilizzata quando ci sentiamo “al sicuro”: ci permette di interagire, instaurare legami di attaccamento sicuri, recuperare energie, apprendere, ascoltare, porre attenzione, provare empatia. Risulta importante allenare la via vagoventrale, al fine di essere meno portati istintivamente ad attivare le nostre risposte difensive automatiche che ci portano a scendere nel sistema simpatico o dorsovagale.

Qualche suggerimento di lettura…

0
    0
    Carrello
    Il tuo carrello è vuotoTorna all'hompage