di Silvia Iaccarino
I neonati piangono, e talvolta anche molto, si sa. Poiché non hanno ancora modo di utilizzare altri mezzi, il pianto è tra le loro vie privilegiate di comunicazione: i bambini e le bambine tentano di farci sapere come stanno e quali sono i loro bisogni e i loro moti interiori.
Per cultura, siamo abituati a pensare che il pianto sia sostanzialmente portatore di messaggi di fame, sonno, disturbo o fastidio di qualche tipo (caldo o freddo, dolori addominali, coliche, etc). Di base, cioè, ascriviamo il pianto ad una difficoltà legata al corpo, nella contingenza del qui e ora.
Ultimamente, una nuova visione dell’Umano ha allargato il campo e, oltre ai bisogni fisici, si stanno considerando chiavi di lettura affettive, attraverso le quali interpretare il pianto come l’anelito ad una carezza, un abbraccio, ad una parola o ad un canto dolce e rasserenante.In questo articolo vorrei spingere lo sguardo ancora più in là, per allargare ulteriormente e includere, tra le possibili cause del pianto dei neonati, il malessere emotivo collegato alle memorie del periodo gestazionale e, soprattutto, della nascita.
Come già in breve delineato in un altro articolo e come trattato in modo più ampio nell’ebook gratuito dedicato, i neonati, contrariamente a quanto per secoli e secoli si è pensato, sono creature di finissima sensibilità, con una memoria, una capacità percettiva ed una profondità del sentire ben oltre ciò che siamo abitualmente portati a credere.
La ricerca nell’ambito della psicologia prenatale, dagli anni ’70 a oggi, ha aperto un campo di indagine e di studio straordinario e stupefacente, che ci sta portando sempre più a comprendere la natura Umana nelle più fini pieghe dell’esistenza, fino agli albori della coscienza, nel periodo gestazionale, e oltre (per approfondimenti, si rimanda alla bibliografia contenuta nell’ebook gratuito di cui sopra).
Poiché, come gli studi evidenziano, il bambino è un essere senziente, autocosciente, in grado di esperire la realtà in modo profondo già dalla gravidanza, il suo vissuto in utero e al momento della nascita rappresenta una pietra miliare nella sua esperienza emotiva, in grado di tracciare le prime impronte sul Sè e di generare una prima forma di imprinting nella lettura della realtà stessa da parte del neonato.
Pertanto, ciò che accade durante la gestazione e il parto non si limita a incidere sull’esperienza emotiva della madre ma genera altrettante emozioni nel bambino, le quali possono essere sia piacevoli che spiacevoli, e dolorose. Infatti, sappiamo bene quanto il momento del parto, in particolare, sia critico e quante complessità e complicanze possano occorrere.
Un parto difficile non lo è solo per la donna, ma anche per il bambino/a che potrebbe sperimentare emozioni molto intense di paura, dolore, un senso di abbandono, di inadeguatezza, di fallimento, di disorientamento, di estrema fatica legata alla sensazione di non avere la forza, le risorse, per liberarsi dalla morsa del canale del parto.
Nella nostra cultura, mediamente, non si ascrive ancora ai neonati la giusta capacità percettiva e sensitiva, per cui gli intensi e pervasivi vissuti emotivi dei bambini e delle bambine legati a questo delicato momento non trovano corrispondenza e rispecchiamento negli adulti di riferimento.
Un parto difficile ci porta a dare sostegno alla madre, ma troppo spesso non viene considerato, accolto, ascoltato e sciolto il nodo emotivo che potrebbe essersi generato nei piccoli. Eppure quel vissuto può essere presente e vivo. E il neonato potrebbe cercare di comunicarcelo con gesti, posture, tono corporeo, sguardo, mimica facciale, vocalizzi, pianto.
Alcune parti del corpo del bambino potrebbero essere più attivate di altre: la testa, il collo, le spalle, per esempio possono essere punti dove la memoria corporea immagazzina l’esperienza dolorosa vissuta. Forse vi è capitato di vedere come, ad esempio, mettendo e togliendo una maglietta stretta al neonato, ha iniziato a piangere in modo intenso al passaggio della maglietta stessa dalla testa: la memoria corporea, implicita, potrebbe essere sollecitata e riportare nel qui e ora le emozioni vissute al parto. Ecco allora il pianto di memoria. Si tratta dunque di un pianto emotivo, elicitato da episodi ai nostri occhi anche poco significativi, che potrebbero risvegliare nel bambino la memoria implicita del corpo, che ha immagazzinato l’esperienza precoce, generando primi elementi di risonanza con le esperienze post natali.
Il pianto di memoria accade quando nel bambino/a si risveglia il vissuto emotivo perinatale a causa di uno “stimolo d’innesco” collegato alla memoria stessa della nascita (o anche rispetto a memorie prenatali). Si distingue dagli altri tipi di pianto poiché in genere è inconsolabile, associato a gesti ripetuti come ad esempio spingere le gambe, inarcarsi, grattarsi/sfregarsi.
Come portare consolazione al pianto di memoria?
Assumendo la prospettiva del bambino e fornendo quel rispecchiamento di cui ho parlato anche altrove, che può farlo sentire accolto, compreso, non da solo a vivere qualcosa di più grande di lui e sciogliere le memorie.
Potremmo per esempio dire qualcosa come: “Sembri spaventato, vedo che sei in difficoltà. Forse questa maglietta sulla testa ti ha ricordato quanto è stato difficile nascere…Ci è voluto tanto tempo per uscire, è stato faticoso e forse hai avuto tanta paura in quei momenti…Ora è tutto finito, io sono con te. Vedrai che un po’ per volta passerà tutto”.
Ci può sembrare “ridicolo” parlare così a un neonato. Non siamo abituati a pensare che un bambino o una bambina così piccolo/a possa comprendere, né tantomeno possa esperire simili emozioni forti. Ma queste credenze sono retaggio di una visione ampiamente superata di bambino come “tabula rasa” che non capisce nulla.
Le neuroscienze e la ricerca della psicologia prenatale ci dicono altro. Giorno dopo giorno ci donano nuovi punti di vista sull’Umano e ci invitano a considerare i piccoli, dal concepimento in poi, come persone che provano sentimenti profondi e in grado di percepire in modo fine la realtà. Sta a noi rivedere le nostre convinzioni, rinnovare il nostro sguardo e dare pieno diritto di cittadinanza emotiva (e non solo) ai bambini ed alle bambine che la Vita trasporta fino a noi.
“Ogni piccolo che arriva, ha bisogno di sentirsi bene, di essere accolto da un grande cuore che gli dia il benvenuto, che lo stringa a sé, che gli faccia sentire di essere arrivato nel posto giusto!”
Daniela Frignani
BIBLIOGRAFIA:
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T. Verny/P. Weintraub “Bambini si nasce” ed. Bonomi