di Valentina Campetelli, psicomotricista e Luca Bosco, psicologo, psicoterapeuta, psicomotricista
Case….. grandi, piccole, in alto, in basso, sicure, sbilenche, solide, incerte, ariose, impraticabili, castelli, tane, gallerie, bunker, con tetti che proteggono, con tetti leggeri e trasparenti per guardare il cielo e, di notte, le stelle… isolate, che si mettono in comunicazione attraverso strade, ponti, corridoi… di tutti, da soli, rifugi, luoghi di birbanterie, che ricordano la casa reale, o dove vige la legge dei bambini…
Le case costruite nelle sedute di psicomotricità dicono molto del mondo interno, della percezione di sé e del livello di organizzazione dei bambini. Esse possono apparire se i bambini sono sufficientemente strutturati dal punto di vista affettivo, simbolico e cognitivo, ma allo stesso tempo aiutano a costruirsi, perché restituiscono l’immagine e la percezione concreta della propria identità, individualità, possibilità di modificare la realtà attraverso l’azione e il pensiero.
Abitare la casa, abitare il proprio corpo, sentirsi bene in essi, riuscire a stare in un contenitore e riuscire a sentirsi contenitore di tutto quello che abita dentro di sé, fermarsi, riposarsi, ascoltare un racconto che parla anche di sé, entrare in contatto con il piacere delle emozioni vissute, farle proprie, costruirsi una storia…
La costruzione di uno spazio proprio nel bambino inizia in tempi ben più remoti di quando, già sufficientemente grande e strutturato, riesce a costruirsi una casa tridimensionale, con cubi di gommapiuma, teli, corde, sufficientemente strutturata da stare in piedi e abbastanza grande da contenerlo.
All’inizio potrebbe essere sufficiente ricavare un buco all’interno della montagna di cubi, o uno spazio riservato all’interno di un cerchio; in seguito il bambino ambirà ad accaparrarsi del materiale per definire dei confini più robusti tra dentro e fuori; quindi vorrà costruire dei muri solidi che sorreggano un tetto. Infine, desidererà arredarla, renderla comoda, ricca, accogliente; potrà aprirla agli altri e farne terreno di scambi, oppure chiuderla il più possibile per farne un luogo regressivo, un luogo di conforto, di difesa, e così via.
Le tane, le case, i rifugi, non sono esclusivi della sala di psicomotricità, ma appaiono spontaneamente come elemento comune alle dinamiche di gioco di tutti i bambini, indipendentemente dalla cultura di provenienza, e perdurano nella vita adulta nel bisogno di trovare degli “angoli” propri nei quali riposare, raccogliersi, ricaricarsi energeticamente, ritrovare un’intimità, pensare, lasciare spazio ai ricordi, trovare protezione nei momenti difficili. Anche il linguaggio comune ce lo testimonia, pensiamo ad esempio alla metafora che associa la casa al nido.
Ci pare importante sottolineare questo aspetto, perché dalle esperienze di vissuto corporeo
con gli adulti in sala di psicomotricità emerge con forza quanto questi aspetti non siano relegati all’infanzia, ma esprimano anche nella vita adulta il modo unico in cui ciascuno ha costruito il proprio spazio personale, e come esso si modifichi in base allo stato d’animo, alle emozioni, alle reazioni suscitate dal rapporto con l’ambiente.
Tornando allo sviluppo del bambino, si può evidenziare una linea ontogenetica di strutturazione della spazialità e del modo di rappresentarla concretamente nella costruzione o nella figurazione. Essa procede insieme ad un’altra linea, fondamentale, di sviluppo, che è quella dell’accesso all’individualità. Spesso segnali che si manifestano nella prima linea (quella ontogenetica), hanno il loro nucleo di senso nella seconda (quella della individualità), che può avere decorso armonico, semplice, faticoso o difficile, con i suoi punti di arresto, fasi critiche e momenti di accelerazione improvvisa.
Prima di passare alla costruzione di uno spazio fisico entro il quale collocare il proprio corpo, che prevede la possibilità di investire l’ambiente esterno per modificarlo e le capacità cognitive necessarie a progettare e realizzare una struttura verosimilmente contenente, bisogna aver costruito un altro “contenitore”, quello del proprio sé o io, corporeo e psichico al contempo, segno della progressiva conquista di un’identità autonoma e differenziata. Allo stesso tempo, modificare e strutturare lo spazio attraverso l’azione (il gioco, la sperimentazione corporea, la costruzione, il disegno…) sostengono il processo di individuazione e restituiscono al soggetto, concretamente, la rappresentazione tangibile e visibile di sé stesso nello spazio.
Senza addentrarci troppo nel tema, rischiando di allontanarci dall’argomento specifico dell’articolo, ricordiamo che lo sviluppo del bambino segue un percorso di progressivo passaggio dall’indifferenziato al differenziato, con salti e regressioni, verso una sempre maggiore organizzazione del sé, con tutti i suoi aspetti: corporeo, affettivo e cognitivo.
Il processo di acquisizione dell’identità ha le sue radici nella vita intrauterina e parte dal corpo, per poi comprendere forme sempre più astratte e simboliche: il gioco simbolico, il linguaggio, la narrazione, la rappresentazione. Lo stesso percorso che si sviluppa naturalmente durante la seduta di Psicomotricità: il passaggio “dal corpo al pensiero”.
Possiamo osservare tutto ciò, ad esempio, nell’evoluzione del disegno. Il bambino parte da alcune tracce ancora poco controllate nello spazio del foglio, in una fase in cui inizia ad esplorare l’ambiente in maniera poco differenziata. Successivamente riuscirà a chiudere una forma, un cerchio, e questo sarà un primo confine, una prima definizione del Sé che si sta formando. Questo spazio all’interno del cerchio può essere riempito, dapprima con tracce indistinte, poi sempre più chiaramente con i tratti di un volto umano (il cosiddetto “omino testone”), in cui i bambini proiettano un volto conosciuto: sono io, è la mamma…
Qualche anno dopo lo spazio del foglio sarà organizzato secondo una maggiore logica: le figure non vagheranno più nel mezzo, ma saranno collocate su una linea di terra; mentre nella parte superiore del foglio ci saranno il cielo e il sole.
Quindi, ritornando alla casa, nel primo periodo il bambino ricercherà prevalentemente un contenitore, un modo per riunire i propri “pezzi” e cogliere meglio la separazione tra dentro e fuori. Successivamente, utilizzerà questo contenitore per definirsi, per dare un senso a ciò che succede dentro e dare un ordine a ciò che succede fuori.