Spiegazione ironico-scientifica intorno ai “lavoretti” nei servizi educativi

Educazione e sviluppo infantile

 

di Alice Gabbrielli, insegnante, titolare e coordinatrice del Nido Il Bruco (Pavia) 

 

 

Cari genitori,

se vi aspettate che da queste mura esca un “lavoretto” vi spiego perché avete sbagliato asilo 😉 !

Ogni anno, ad ogni festa comandata, che sia Natale, la Festa della Mamma o carnevale poco importa, un gruppo di genitori attende il lavoretto del proprio bambino come dono o come prova delle sue competenze. E in molti anni di lavoro negli asili, ho appurato che questa è proprio una necessità per qualche mamma o papà. Ho allora provato a sviscerare tale bisogno per comprenderne le motivazioni e provare a farle collimare con quelle dei bambini.

Alcuni genitori hanno piacere di ricevere il lavoretto come dono del proprio bambino, magari da tenere sulla scrivania, in ufficio, in quelle ore difficili in cui si è lontani dal proprio affetto più grande. Un piccolo manufatto che, con solo uno sguardo, riporti nel cuore la tenerezza e l’amore del proprio piccolo anche nelle giornate più difficili.

Altri, invece, hanno bisogno di confermare la propria scelta rispetto alla frequenza del bambino al Nido o a Scuola per non sentirla solo come questione obbligata dal dover lavorare, magari anche per tante ore al giorno. In questo caso, il lavoretto ben fatto, preciso e perfetto (secondo canoni estetici adulti) rassicura il genitore in merito alla qualità della struttura educativa, poiché è portato a pensare che il figlio stia imparando molte cose e costruendo un grande bagaglio di conoscenze che lo porteranno, in futuro, a poter diventare ingegnere o medico o astronauta o tutto ciò che vorrà.

Altri bisogni, e tutte le sfumature della commistione di quelli appena descritti, muovono generalmente i genitori a chiedere il lavoretto. Io preferisco fermarmi all’analisi dei due citati:  ritengo abbiano diritto di essere accolti e sostenuti, ma provando a modificare la prospettiva da cui guardare il bambino, il suo tempo in asilo e la sua crescita come persona, comprese le sue competenze.

Per sostenere ed accogliere questi bisogni genitoriali, quindi, preferisco parlare dei bambini e del famoso e ormai famigerato lavoretto.

Prima di tutto proviamo a capire cosa rappresenta il “lavoretto” nei primi 6 anni.

Al nido, nel primo anno di vita, il lavoretto solitamente è rappresentato dall’impronta della mano del piccolo su un qualsiasi supporto e, a seconda della fantasia delle educatrici e del periodo dell’anno, si avranno impronte sulla cornice della foto del primo giorno di asilo, sulla pallina per l’albero di Natale, a forma di cuore per la Festa della Mamma eccetera eccetera. Successivamente le impronte di mani e piedi la fanno ancora da padrone, ma sono intervallate da qualsiasi altra cosa dipingibile o incollabile.

Alla Scuola dell’infanzia il livello di fantasia cresce in modo esponenziale poiché allo stesso modo crescono le tipologie di materiali e di tecniche utilizzabili. Ma tutti i lavoretti hanno caratteristiche comuni, in primis  il fatto di essere per lo più creati dalle educatrici-insegnanti. Eh sì, cari genitori, vi svelo questo retroscena deludente: il fantastico portapenne di spago colorato che avete sulla scrivania non l’ha fatto vostro figlio di 18 mesi bensì, per il suo 95% circa, un’abile maestra che, negli anni, è divenuta un’artigiana d’eccellenza!

Ma ho detto 95%. E quel rimanente 5%?

Ecco, quello tenetelo a mente: ne parleremo dopo.

Adesso il discorso si apre ad alcune analisi parallele, parzialmente distinte:

  • quella del “processo” e dei bisogni di crescita;
  • quella di come il bambino acquisisce competenze in asilo;
  • quella delle competenze dell’adulto.

Credo che la differenza tra il prodotto e il processo per realizzarlo sia chiara a tutti. Per cui non mi soffermerò su questioni pedagogiche che altri, sicuramente meglio di me, hanno già affrontato su questo tema. Chiedo, invece, a voi di provare a pensare a due aspetti: quello della soddisfazione e quello dell’apprendimento. Ora, con questi due focus, provate a ricordare una qualche attività manuale, ma anche intellettuale, che avete svolto.

Che si tratti della costruzione di un modellino di nave nella bottiglia, di un puzzle, di cucinare un piatto nuovo o di assemblare il motore di un areoplanino, la bellezza risiede nelle azioni compiute più che nel risultato finale. E’ il processo, appunto, che ci dà piacere. Sono l’impegno profuso, la sfida delle proprie capacità, l’attenzione e la concentrazione spesi, la pazienza e la passione che ci mettiamo, a generare quelle emozioni positive date dal vedere il traguardo sempre più vicino. Ma, a rendere costruttivo e bello il percorso, concorrono anche, da un lato,  la capacità di tollerare la frustrazione della fatica e, dall’altro, la capacità di trasformare tale frustrazione in energia per provare ancora e ancora, facendo tesoro degli errori commessi.

Se avete pensato ad un’attività tenendo conto della soddisfazione e dell’apprendimento, ora penso sia facile convenire che entrambi risiedono nel processo e non tanto nel prodotto finale.

Così, osservando un bambino mentre gioca, ci renderemo subito conto di come il suo interesse e il suo piacere scaturiscano interamente dal processo e che, spesso, il prodotto finale viene abbandonato e dimenticato o comunque degnato di poca attenzione.

È nel fare qualcosa che il bambino trae la sua soddisfazione ed è nell’azione di gioco che apprende tutto ciò che quell’attività può insegnargli in base a quanto è pronto ad apprendere (lo sviluppo fisico e quindi anche cerebrale permette apprendimenti per step che non possono e non devono essere velocizzati).

Ora voi potreste ribattere che anche nell’esecuzione del lavoretto il bambino fa qualcosa in grado di generare apprendimenti e soddisfazioni.

Per rispondere vi chiedo un nuovo esercizio di fantasia.

Immaginiamo di essere a cena in un ristorante da me scelto e che sia io a scegliere per voi cosa mangerete, come lo mangerete, in quanto tempo, con quali posate, cosa dovrete bere e quando dovrete farlo. Forse, se nutrite una grande fiducia nei miei confronti, una volta potreste anche sopportarlo, ma non credo che il pasto sarebbe edificante e piacevole. E se tale modalità dovesse ripetersi ad ogni cena, sono certa che non vorreste più cenare!!

Ecco, questo parallelismo credo sia calzante: nella realizzazione di un lavoretto è l’adulto che sceglie il progetto, i materiali e i tempi di realizzazione, che dice al bambino con quali gesti farlo (a volte anche muovendogli la mano per una migliore realizzazione), in che ordine eseguirli, spesso senza neanche aver condiviso il progetto con i bambini né le finalità.

Come ben potete comprendere, tale modo di approcciare le attività manuali o artistiche, alla base del lavoretto, non è divertente, né soddisfacente o realizzante per il bambino.

Sul lato apprendimento va forse meglio? La risposta arriva direttamente dalla psicologia dello sviluppo, oggi corroborata anche dalle neuroscienze: l’apprendimento di nuove competenze o di nuovi concetti, soprattutto nei primi anni di sviluppo del cervello, avviene affinando le connessioni tra neuroni o rinforzando le connessioni esistenti. Questo processo si dipana secondo un ordine stabilito geneticamente, per cui alcune aree non maturano e non sono pronte al funzionamento prima di una certa età (ad esempio, nessuno si immaginerebbe di insegnare ad un bambino a camminare a 3 mesi).

L’ambiente, fornendo gli stimoli adeguati, sostiene e incentiva la crescita, ma nessun bambino si confronterà spontaneamente con attività per il cui apprendimento non sia pronto.

Imponendo al bambino una serie di azioni da compiere in un certo modo e con una certa sequenza motoria e immaginativa, non sappiamo se stiamo rispettando il corretto sviluppo cognitivo del bambino a sostegno di nuovi apprendimenti, o se stiamo chiedendo atti che, ai fini della crescita, in quel momento e per quello specifico bambino, siano al di fuori dell’area di sviluppo (Vygotskij direbbe “di sviluppo prossimale”).

La risposta, quindi, alla domanda rispetto all’apprendimento nel realizzare un lavoretto è sostanzialmente negativa, poiché è improbabile che tutti i bambini impegnati nell’esecuzione del lavoretto stesso si trovino, proprio tutti, esattamente nel momento evolutivo che permette ad ognuno di realizzarlo senza forzature.

A ciò si aggiunge una doverosa riflessione sulla libertà di pensiero, fantasia, individualità e creatività.

Infatti, la realizzazione in serie dell’identico prodotto che il bambino, di fatto, non sceglie, è paragonabile alla produzione industriale di oggetti. Ma credo siamo tutti concordi nel ritenere di gran lunga migliore e più prezioso dell’oggetto industriale, un qualsiasi oggetto di artigianato, manufatto unico ed irripetibile, o ancora di più un’opera d’arte, espressione delle emozioni e delle competenze di un artista.

Come dicevamo inizialmente, perché questi prodotti siano in grado di rispondere a canoni estetici adulti, vengono per il 95% realizzati dalle educatrici che oltre alla fase di progettazione e scelta, si occupano di far eseguire le azioni “corrette” per la realizzazione da parte del bambino. E nonostante ciò, è ancora necessaria una fase di modifica e assemblaggio ad opera dell’adulto che va a “correggere” e migliorare la minima parte (quel 5%) eseguita dal piccolo.

Così, succede che il bambino, oltre alla frustrazione del non potersi esprimere attraverso il proprio fare, possa vivere come svilente questa operazione: l’adulto comunica che quanto lui ha svolto         non è abbastanza adeguato per essere donato, regalato, esposto… con tanti cari saluti allo sviluppo di una buona autostima.

Considerato tutto, quindi, come possiamo rispondere in modo alternativo e pedagogicamente corretto ai bisogni dei genitori di cui parlavamo all’inizio, al contempo rispettando le necessità dei bambini?

La risposta abita in un cambiamento di sguardo, provando a osservare le enormi competenze innate dei bambini e come esse si sviluppano senza che l’adulto insegni in modo direttivo.

Ciò non significa, ovviamente, che l’adulto non sia più necessario per lo sviluppo dei bambini, anzi!! Intendo invece affermare come l’adulto, in quanto promotore di apprendimenti, debba compiere un costante e certosino lavoro di osservazione dei bisogni evolutivi dei bambini per fornire, passo dopo passo, un ambiente con gli stimoli più adatti affinché essi, a seconda della loro fantasia e del loro unico ed irripetibile modo di pensare, percepire ed essere, possano apprendere ciò che sono pronti ad apprendere in quel preciso momento.

Ovviamente l’adulto sarà presente ed in relazione coi bambini costantemente (perché si apprende sempre, non solo nell’orario di lezione) come sostegno emotivo ed affettivo, come stimolo e potenziatore cognitivo, come provocatore di nuovi pensieri ed associazioni.

E, come sostegno ai fondamentali bisogni del genitore di portare con sé un po’ del proprio piccolo, di conservare ricordi che saranno preziosi in futuro, di avere rassicurazioni circa la validità degli apprendimenti promossi nella struttura scelta, l’educatore, la maestra, o come preferisco definire io “il professionista promotore di apprendimenti”, potrà quotidianamente aiutare il genitore ad allenare lo sguardo, a vedere le vere competenze, a scovare ogni più piccolo e significativo processo di crescita del bambino.

Come? Attraverso la narrazione di tutti i processi che avvengono in una giornata di asilo e che sono alla base di molti prodotti che i bambini portano a casa o che restano in struttura, ma che possono essere fotografati e mostrati ai genitori.

Una grande maestra, Daniela Corradi di Percorsi Formativi 06, mi ha insegnato che tali produzioni dei bambini possono essere considerate opere di arte effimerapoiché spesso durano brevi istanti, “basta un soffio e volano via”, perché i bambini, appena ritengono soddisfatto il loro interesse, vanno oltre inseguendo un’altra idea.

Pertanto, quando portiamo a casa un “prodotto” che è stato realizzato davvero dal bambino, di fatto portiamo a casa quella traccia di spontaneità e di individualità che davvero fotografa le competenze del bambino nella sua bellissima (spesso) bruttezza, ma immensamente ricca di meravigliosi progressi, pensieri, percezioni, emozioni, movimenti sempre più precisi e finalizzati, idee, scambi, fallimenti, frustrazioni, nuovi tentativi, confronti, rischi, dubbi, pazienza, concentrazione, ricerca… e mi fermo perché potrei andare avanti per un bel po’!!

Speriamo quindi di  riuscire a facilitare e promuovere ogni anno, nei genitori, una apertura di sguardo in grado di generare stupore e meraviglia negli occhi che osservano le mille competenze dei bambini apprese e non insegnate. Poiché ritengo sia importante, e doveroso, oggi, per chi si occupa di educazione e pedagogia, promuovere una buona cultura dell’infanzia, anche accompagnando le famiglie a comprendere quali siano le azioni che il sistema educativo, dagli 0 anni, può e deve promuovere per favorire l’apprendimento armonico e funzionale.

 

 

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