Autostima e relazioni al nido

Nido

Rivista: “Mondo 0-3” Settembre-Ottobre 2012

È questo il titolo di un percorso formativo 1 svoltosi a Brescia lo scorso marzo, durante il quale si è lavorato sulla valorizzazione di sé e su come supportare i bambini nello sviluppo di una buona autostima.

Innanzitutto, cos’è l’autostima? Spesso a questa domanda si risponde definendo le caratteristiche di una “buona autostima”: “consapevolezza del proprio valore; accettazione di sé; capacità di riconoscersi pregi e limiti; sicurezza in sé; assertività; capacità di mettersi in gioco; sentirsi all’altezza”.

L’autostima, invece, è l’idea/l’immagine/l’opinione che ciascuno ha di se stesso. In questo senso, tutti abbiamo autostima poiché tutti abbiamo un’opinione di noi stessi!

L’autostima può essere “scarsa” o “buona”, a seconda di come ciascuno di noi considera se stesso rispetto a un “modello ideale” interiore (spesso inconsapevole) di come vorrebbe/dovrebbe essere.

Quando l’opinione che abbiamo di noi stessi si avvicina al nostro modello ideale otteniamo una buona autostima, quando invece si discosta molto dall’ideale abbiamo una scarsa autostima. Frequentemente, però, ciò che andrebbe messo in discussione non è tanto il nostro modo di essere, quanto il modello a cui ci paragoniamo: spesso irrealistico, irraggiungibile, perfezionistico. In questo caso sarebbe quindi sufficiente rivedere l’ideale a cui ci rapportiamo per “recuperare punti” rispetto alla nostra autostima.

L’opinione che ciascuno ha di sé, poi, è per buona parte appresa: le relazioni che il bambino stabilisce con gli adulti e il suo ambiente di riferimento sono fondamentali per la formazione dell’immagine di sé che via via va strutturandosi. Se il feedback che il bambino riceve è “negativo” è possibile che l’autostima si mantenga a un livello basso, se è “positivo” l’autostima più facilmente tenderà a essere buona. Va sottolineato che, nello sviluppo, non ci sono cause ed effetti sicuri, ma fattori di rischio e fattori di protezione che tendono a un esito piuttosto che a un altro solo in termini di probabilità. L’essere umano ha infinite potenzialità e risorse, per cui è possibile crescere con una buona autostima anche in situazioni “poco fortunate”.

 

Sulla propria autostima è sempre possibile lavorare: si può sempre mutare l’opinione di se stessi, così come siamo in grado di cambiare l’opinione che abbiamo degli altri.

Avere una buona autostima aiuta “ad affrontare la vita con fiducia, a vivere più serenamente le relazioni, a mettersi in gioco e confrontarsi con gli altri in modo aperto, ad attingere alle proprie risorse, ad essere ottimisti ed assertivi, ad accettare i propri limiti e, quando possibile, impegnarsi per superarli, a progettare il futuro, a sdrammatizzare, ad essere empatici con se stessi e con gli altri” e poi ancora a tollerare le inevitabili frustrazioni della vita e ad affrontare in modo costruttivo i sicuri errori e fallimenti che costellano il percorso di crescita di ciascuno.

Poiché, come sappiamo, i primi anni di vita sono una base importante su cui si struttura la personalità, è importante che gli adulti di riferimento(quindi anche le educatrici del nido) tengano conto di come il loro modo di rapportarsi (a livello verbale e non verbale) con i piccoli sia di impatto sull’idea di se stessi che si stanno formando.

In che modo, quindi, si possono supportare i bambini nel crearsi una buona immagine di sé? Ecco le proposte emerse dai gruppi di lavoro svolti durante il corso:

  • dare l’esempio;
  • celebrare le conquiste;
  • evitare di far pesare gli errori, ma aiutare il bambino a capire dove ha sbagliato;
  • far passare l’idea che “sbagliando s’impara”;
  • incoraggiare con il linguaggio verbale e non verbale;
  • aiutare a fare da solo, sostenendo l’autonomia;
  • proporre attività e materiali adatti al bambino;
  • proporre situazioni che aiutino a superare piccole frustrazioni;
  • evitare paragoni;
  • credere e avere fiducia nelle possibilità del bambino;
  • rispettare i tempi del bambino;
  • porsi come modelli “umani” con i propri pregi e difetti: essere cioè autentici nella relazione. ammettere i propri limiti può diventare un’utile esperienza anche per i bambini;
  • ascoltare e accogliere i bambini;
  • comprendere i bisogni dei bambini;
  • evitare “etichette”;
  • avere aspettative realistiche;
  • evitare di sostituirsi ai bambini;
  • evitare di banalizzare emozioni, fatiche, difficoltà del bambino;
  • essere coerenti, anche come équipe;
  • essere “base sicura”;
  • evitare elogi eccessivi;
  • evitare di essere iperprotettive;
  • evitare di parlare in modo “negativo” del bambino con altri (per es. la mamma) in presenza del bambino stesso;
  • evitare di sottolineare frequentemente i comportamenti “inadeguati” del bambino.

Altri aspetti che vorrei sottolineare sono:

  • usare l’empatia;
  • dare piccoli compiti/responsabilità;
  • dare limiti autorevoli;
  • dare alternative valide ai comportamenti “inadeguati”;
  • mediare i conflitti;
  • dare intenzionalità positiva al comportamento del bambino. Per es. “Non volevi fare male a Giorgio. Volevi la sua macchinina ma non sapevi come dirglielo, così gli hai tirato i capelli. Ma così fai male. La prossima volta puoi…”.

A questi vorrei aggiungere l’importanza di sostenere nel bambino un “Sé corporeo” positivo: “il mio corpo è buono… contiene cose buone… io sono buono”. Il bambino piccolo è, soprattutto, corpo e attraverso l’esperienza corporea struttura il Sé.

Nei servizi educativi, in cui i piccoli passano diverse ore al giorno, è fondamentale che le modalità con cui i  bambini vengono toccati e “maneggiati” siano attente e sensibili, rispettose e delicate. Per esempio, non è la stessa cosa soffiare il naso a un bambino con delicatezza o strofinarlo con un certo tono. Queste diverse situazioni gli comunicano idee differenti di chi è lui.

Un altro aspetto importante per i piccoli riguarda la possibilità di sentirsi benvoluti a prescindere da come si comportano: avere affetto e apprezzamento non tanto o non solo rispetto a una “prestazione”, ma per il fatto stesso di esistere. Ciò significa, per esempio, esprimere al bambino il semplice piacere di stare con lui (“mi piace giocare con te” oppure, quando torna dopo un’assenza, “ti ho pensato, mi sei mancato”).

Chiaramente, come sappiamo, nella quotidianità non sempre è possibile mettere in atto tutte queste indicazioni: talvolta si vive in “emergenza” (assenza di una collega, stress, situazioni difficili da gestire ecc.). L’équipe è una grande risorsa grazie alla quale ci si può sostenere a vicenda e confrontare alla ricerca di azioni utili a mitigare gli effetti della fatica fisica ed emotiva, partendo dal presupposto che, anche l’educatore, non deve essere perfetto, ma “sufficientemente buono”.

1 Ringrazio le corsiste che hanno partecipato al corso: appartengono a loro le citazioni in corsivo presenti nell’articolo.

Bibliografia 

  • Anderson, G. Redman, C. Rogers, Come sviluppare l’autostima del bambino, Red, Milano 1998.
  • Appell, A. Tardos, Prendersi cura di un bambino piccolo,Erickson, Trento 2004.
  • Bach, Il cielo ti cerca, Rizzoli, Milano 2009.
  • Filliozat, Fidati di te, Piemme, Milano 2008.
  • Greenspan, Il bambino sicuro, Giovanni Fioriti, Roma 2005.
  • Juul, Il bambino è competente, Feltrinelli, Milano 2001.
  • Miller A., Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero sé, Bollati Boringhieri, Torino 1985.
  • Pikler, Datemi tempo!, Red, Milano 1996
  • Seligman, Come crescere un bambino ottimista, Sperling & Kupfer, Milano 2007.
  • W. Winnicott, Sviluppo affettivo e ambiente, Armando,Roma 1974

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