di Silvia Iaccarino
“Litigare e’ un diritto dei bambini”
D. Novara
“Il litigio dei bambini è qualcosa che può e deve essere utilizzato per aiutare a crescere”
P. Ragusa
“Mi raccomando, non litigate!”, “giocate bene senza litigare”, “la smettete di litigare?”…Quante volte, noi per primi da piccoli, ci siamo sentiti dire queste frasi? E quante volte, anche senza rendercene conto, le rivolgiamo oggi ai bambini di cui ci occupiamo?
Siamo mediamente tutti cresciuti in una cultura educativa che ha visto nel litigio qualcosa di negativo, da sedare, tenere a bada se non da eliminare del tutto in quanto spesso portatore di aggressività. Esso tendenzialmente è sempre stato qualcosa che ha disturbato i nostri genitori, i quali lo hanno giudicato come sbagliato, inutile, inopportuno, foriero di guai, facendoci sentire “inadeguati” e suscitando in noi vergogna e senso di colpa quando ci capitava di litigare con amici e/o fratelli.
Alla base di questa visione negativa del litigio, oltre al timore dell’aggressività, è sempre stata agganciata l’idea che sia possibile stare insieme senza contrasti, secondo un ideale di “armonia” e “pace” secondo cui tutti si può andare sempre e comunque d’amore e d’accordo, affrancati dalle innate e inevitabili differenze individuali. Ma ciò è impossibile oltre che poco sano!
Il litigio è sempre stato interpretato così come contrario all’armonia, alla pace, e questo messaggio tendiamo a passare anche oggi ai nostri bambini.
Non c’è dubbio che il litigio tra bambini, soprattutto in età prescolare, sia “rumoroso” e possa anche sfociare in episodi aggressivi, a causa del loro ancora scarso controllo degli impulsi, ma ciò non significa che il litigio in sé sia da eliminare. Altrimenti si “butta via il bambino con l’acqua sporca”.
Infatti, contrariamente a quanto ci hanno passato i nostri genitori e la cultura educativa in cui tendenzialmente noi adulti di oggi siamo cresciuti, il litigio ha in sé innumerevoli e utili funzioni per lo sviluppo socio-emotivo dei bambini e può rappresentare una palestra unica e speciale in cui essi possono allenare una serie di competenze e capacità che non possono mettere in campo altrove.
In particolare, attraverso il litigio tra pari, i bambini possono:
- imparare a stare nelle relazioni;
- incontrare limiti;
- apprendere via via come affrontare positivamente ed efficacemente i contrasti;
- sbagliare e capire come rimediare agli errori;
- imparare l’empatia;
- apprendere a gestire le proprie forze, energie ed a misurare quelle degli altri;
- tollerare impotenza e frustrazione;
- conoscere se stessi, distinguersi dagli altri, costruire la propria identità.
Il litigio è sostanzialmente un’occasione grazie alla quale i bambini possono capire che non esistono solo loro con le loro esigenze, ma che esistono anche altri, i quali hanno un mondo interno (fatto di credenze, aspettative, bisogni, valori, emozioni), differente dal proprio e col quale devono imparare a fare i conti, negoziando, assumendo il punto di vista altrui e sviluppando quella teoria della mente fondamentale per crescere bene ed avere relazioni sane ed equilibrate.
Grazie al litigio, ed alla palestra che questo rappresenta, i bambini possono quindi allenarsi in una serie di capacità e competenze molto utili sia nel loro presente che nel futuro, sviluppando quella che Daniele Novara chiama “competenza conflittuale”, ovvero la capacità di gestire i contrasti in modo sano, assertivo, rispettoso di sé e degli altri, senza utilizzare la violenza.
Infatti, la violenza viene anche dal fatto che una persona, lungo il suo percorso di crescita, non ha avuto occasione di imparare a gestire in modo costruttivo i contrasti con gli altri, restando in qualche modo “analfabeta” su questo fronte. Tale analfabetismo può quindi portare all’agire modalità violente in quanto non si è dotati di un repertorio di comportamenti adeguati a comporre i contrasti in modo costruttivo e si percepisce l’altro come minaccia al proprio benessere, desiderando di eliminarlo.
Siamo tutti d’accordo nel desiderare un mondo pacifico e senza violenza, ma finora abbiamo perseguito questo ideale partendo dai presupposti sbagliati. Abbiamo pensato che per costruire la pace fosse necessario rimuovere il litigio, invece oggi stiamo iniziando a capire che il contrasto è connaturato all’essere umano, in quanto siamo tutti inevitabilmente diversi, e che possiamo costruire la pace solo imparando a gestire in modo adeguato tale insopprimibile e, in realtà, arricchente diversità, sviluppando la competenza conflittuale.
Per noi educatori (compresi i genitori) diventa quindi oggi molto importante modificare il nostro punto di vista sui litigi tra bambini ed accoglierli come qualcosa di utile al loro sviluppo e come fondamentale opportunità di crescita. Si tratta, pertanto, di modificare anche il nostro approccio ed intervento educativo di fronte ai contrasti tra bambini, in modo da passare loro l’idea che “litigare è ok, ma c’è modo e modo di farlo”.
Che fare quindi?
Tanto nei contesti educativi, quanto in famiglia, possono essere utili una serie di considerazioni, approcci, strategie educative.
Innanzitutto:
- quando i bambini litigano è importante evitare di agitarsi e mostrarsi spaventati, intervenendo come se ci fosse un’emergenza o mostrarsi arrabbiati. Infatti, con questo approccio si rischia di passare loro l’idea che il litigio sia un evento “grave” e che loro siano “sbagliati”, con conseguente senso di inadeguatezza e di colpa. Inoltre, vedendo una reazione così accesa, i bambini possono “triangolare” l’adulto, ovvero capiscono che litigare è un modo efficace per ottenere attenzione e ciò può portarli a “utilizzare” il litigio come modo per essere visti;
- tenere a bada la propria ansia che i bambini possano farsi male ed evitare l’intervento istantaneo (a meno che davvero ci sia un reale pericolo, cosa alquanto poco probabile). E’ utile, infatti, poter osservare la dinamica conflittuale per vedere se essi riescono a comporre da soli la questione, dandogli quindi del tempo e tollerando che possano esserci urla e pianti. Litigare non è traumatico, piangere non è traumatico. I bambini, soprattutto 0-3 anni, urlano e piangono per la frustrazione e la fatica di gestire la situazione: è normale. Non sta succedendo nulla di grave. Possiamo noi per primi gestire le nostre emozioni e valutare quanto lasciar fare a loro e quando è invece il momento di entrare in gioco per mediare la situazione.
Nel momento in cui valutiamo che è il caso di intervenire, è molto importante la modalità che utilizziamo. Infatti, affinché i bambini acquisiscano la “competenza conflittuale” noi adulti NON dobbiamo fare gli arbitri, stabilendo dall’alto torti e ragioni e cercando il colpevole (domande come “chi ha iniziato?” e/o “chi ce l’aveva prima?” in caso di contesa dei giochi sono da EVITARE). Questa modalità “arbitrale”, che noi per primi abbiamo vissuto da figli e alunni, non aiuta a diventare autonomi nella gestione dei contrasti ma, al contrario, mette i bambini in una posizione di dipendenza dagli adulti, per cui essi ricorrono continuamente al genitore o alla maestra affinché intervenga a ristabilire l’ordine. In questo modo, inoltre, i bambini non attivano le loro risorse personali e non è favorito lo sviluppo delle competenze socio-emotive.
Dovremmo, al contrario, assumere il ruolo del mediatore, del facilitatore, affinché i bambini imparino a parlarsi ed a capire il punto di vista e i bisogni dell’altro e ricercando poi le LORO soluzioni, che noi dobbiamo rispettare, anche se non ci sembrano “giuste” da un punto di vista adulto. Come ho già avuto modo di dire in questo altro articolo sulla condivisione, non dovremmo applicare ai bambini le categorie moralistiche adulte, in quanto essi ragionano in modo differente dal nostro.
Per mediare i conflitti, senza arbitrarli, possiamo:
- chiedere ai bambini: “cosa succede?”, favorendo da parte loro la verbalizzazione di quanto ognuno sta vivendo, secondo il proprio punto di vista. Se i bambini sono molto piccoli e ancora non parlano, possiamo mettere noi in parole i fatti, ponendoli come domanda. Per esempio: “Giovanni, volevi giocare con Luca e la sua macchina rossa?”.
- una volta che i bambini hanno espresso i loro bisogni, possiamo aiutarli chiedendo loro: “come potreste risolvere la situazione? Provate a pensarci, sono sicura che potete trovare una soluzione”, lasciando quindi che essi tentino delle proposte e trovino autonomamente un accordo. Se l’accordo che nasce dal loro confronto è ok per i bambini, anche se non per noi (perché magari non ci pare equo), rispettiamo comunque la loro decisione. Nel caso dei bambini più piccoli che ancora non parlano, possiamo aiutarli a verbalizzare i loro bisogni ed intenzioni, proponendo in forma interrogativa delle possibili strade, senza imporre nulla dall’alto. Si tratta, sostanzialmente, di farsi traduttori per loro. Per esempio: Giovanni, 2 anni, tira i capelli a Luca e gli prende di mano la macchinina rossa. Luca piange. Il nostro intervento potrebbe essere: “Giovanni volevi giocare con Luca e la sua macchinina?”. Probabilmente Giovanni dirà di sì. “E’ una bella idea, devi però chiedere a Luca se vuole giocare con te, altrimenti se gli prendi la macchinina dalle mani lui ci rimane male. Vedi che sta piangendo?” – “Luca, Giovanni vorrebbe giocare con te, per questo ha preso la macchinina. Ti va di giocare con lui?”. Se Luca dice di sì, ok. Se Luca dice di no, possiamo continuare dicendo a Giovanni: “mi spiace Giovanni, ora Luca non ha voglia di giocare con te. Vuoi chiedergli se ti presta la macchinina?”. E così via. E’ certamente una modalità che richiede più tempo del semplice: “Giovanni, la macchinina l’aveva Luca, ridagliela”. Ma, a differenza di questo approccio, mostra ai bambini che ognuno di noi ha un suo mondo interno differenziato dagli altri, che va compreso e rispettato e che è necessario imparare a dialogare sulle situazioni.
Per gestire i litigi in particolare nelle strutture educative (ma nulla vieta di farlo anche a casa tra fratelli), Daniele Novara suggerisce di approntare un angolo ad hoc, con un tavolino e un paio di sedie, dove i bambini possono sedersi e parlare tra loro. Il fatto di avere un angolo adibito per questo può sostenere i bambini nel processo di acquisizione della competenza conflittuale, finché non avranno interiorizzato le modalità costruttive di gestione dei litigi e saranno in grado di esprimerle ovunque, a prescindere dall’angolo in sé.
Prima di concludere, vorrei portare l’attenzione su un ultimo punto, che spesso genera perplessità e preoccupazione soprattutto nei genitori, ovvero il bambino che “cede” spesso il gioco agli altri. Infatti, molti genitori si preoccupano che il proprio figlio sia “debole”, “si faccia mettere i piedi in testa” e possa diventare in futuro vittima di bullismo. Contrariamente a quanto può apparire, in realtà, spesso i bambini che “cedono” il loro gioco ad un altro hanno mediamente uno sviluppo socio-emotivo più avanzato in quanto comprendono empaticamente che l’altro è in difficoltà e quindi lo favoriscono, trovando per se stessi differenti soluzioni. Con questo non intendo dire che sia sempre così: a volte in effetti i bambini cedono i loro oggetti per una reale difficoltà a difendere il proprio possesso, ma dobbiamo affinare la nostra osservazione per distinguere le due situazioni e non presumere che vi sia una unica lettura, per di più “negativa”.
Per finire, cito Daniele Novara il quale afferma che: “Litigare è un’esperienza che, in quanto tale, può favorire l’attivazione di un insieme di competenze e apprendimenticome nessun’altra forma relazionale interpersonale. Improvvisamente nel mio orizzonte esperienziale appare un ostacolo, un punto di vista divergente, un’opposizione che blocca la mia volontà, impedisce la mia azione. C’è l’effetto sorpresa, elemento fondamentale delle dinamiche di apprendimento; compare un fattore nuovo che occorre integrare per evolvere; si scatena un conflitto intrapsichico di natura cognitiva che consente di imparare: a stare con gli altri, a gestire le proprie risorse, a negoziare, a riconoscere la pluralità dei punti di vista. Questo processo può però realizzarsi a patto di aver avuto la possibilità, durante l’età infantile in cui avviene l’imprinting, di vivere l’esperienza conflittuale in modo normale e positivo. Litigare bene permette infatti di stimolare competenze e funzioni che io ritengo ‘protettive’: insegnano a stare al mondo.”
Dunque, buoni litigi a tutti! 🙂
BIBLIOGRAFIA
Novara D., “Litigare fa bene”, ed. Bur
Novara D., Di Chio C., “Litigare con metodo. Gestire i litigi dei bambini a scuola”, ed. Erickson
Novara D., “Litigare per crescere. Proposte per la prima infanzia”, ed. Erickson