Arte effimera e loose parts al nido e alla scuola dell’infanzia

Attività per i bambini, Educazione e sviluppo infantile, Insegnanti ed educatori

 

di Alessandra Dedè (educatrice ed esperta di laboratori espressivi), Daniela Corradi (educatrice e pedagogista), Marta Poletti (educatrice e pedagogista)

 

 

Cos’è “effimero”? La parola “effimero, di origine greca, significa letteralmente “che dura un giorno solo”. “Effimero” è quindi qualcosa di transitorio che si deteriora, o scompare, o si trasforma in breve tempo. Questo concetto ha introdotto nell’arte contemporanea una rivoluzione: l’opera d’arte, tradizionalmente creata per sopravvivere, diventa forma espressiva  passeggera e relativa, di breve durata sia nell’esecuzione che nell’esposizione. L’opera d’arte, in sostanza, diventa performance, azione.

 

 

 

 

In occasione di un percorso di ricerca svolto nei nidi di Cinisello Balsamo con la supervisione della Professoressa Elisabetta Biffi dell’Università di Milano Bicocca, ci siamo fermate ad osservare come le produzioni spontanee dei bambini abbiano molte affinità con questa corrente artistica.  Questo risulta evidente nel momento in cui si prendono in considerazione i principi cardine dell’arte effimera: l’azione d’arte vista come opera d’arte in sé, ovvero, detto in altro modo, la preminenza del processo sul prodotto; la valorizzazione della trasgressione e dell’impertinenza, rintracciabile, per esempio, nell’ utilizzo di alcuni materiali inconsueti, come quelli di scarto e industriali,  combinati ed accostati tra loro in modo del tutto particolare;  il processo creativo come attività espressiva e liberatoria, in grado di permettere l’emergere delle proprie istanze interiori e del proprio modo di guardare il mondo anche fuori dagli schemi.

Come non pensare ai bambini e ai loro trafficamenti con gli oggetti e i materiali?

 

 

 

 

E’ stato interessante, all’interno della ricerca, osservare il gioco dei bambini accostando la prospettiva dell’arte effimera alla Teoria delle Loose Parts. Simon Nicholson, architetto e artista inglese, scrive questa teoria negli anni Settanta, partendo da alcune considerazioni sugli spazi ludici e sulla creatività. Nicholson ritiene che uno spazio di gioco e apprendimento progettato e costruito esclusivamente da “adulti-esperti”, finisce per derubare i bambini di tutti gli aspetti più creativi del gioco. Per invertire la rotta è necessario che la progettazione dei luoghi di gioco torni in mano ai bambini affinché possano ritrovarvi la possibilità di agire, giocare, sperimentare, scoprire, inventare e divertirsi in modo autonomo con un’ampia quantità e gamma di “variabili del mondo”: le loose parts, appunto.

Per loose parts (letteralmente “parti sciolte”) s’intende tutto ciò che può  essere spostato, trasportato, combinato, infilato, impilato, separato e rimesso insieme, usato da solo o con altri materiali, in uno spazio di costruzione libero oppure delimitato da “supporti” di diverso genere (teli, reti metalliche, cornici, cartoncini, materiale plasmabile). Sono oggetti open-ended, a finale aperto, ovvero che non contengono istruzioni per l’uso.

 

 

 

 

 

Dal nostro punto di vista, arte effimera e teoria delle loose parts costituiscono una sinergia interessante sotto diversi aspetti. Sono entrambe prospettive inclusive perché permettono di superare le difficoltà della tecnica e delle abilità specifiche di ognuno, non interessando tanto la prestazione quanto il poter vivere un’esperienza in modo assolutamente libera, personale e in piena valorizzazione delle differenze. Sono inoltre democratiche perché avere a disposizione “parti incoerenti” in un contesto di gioco libero permette ai bambini di scegliere quali materiali utilizzare e come, adattandoli a proprio piacimento e lasciandosi andare a ricerche compositive, estetiche, scientifiche, simboliche anche inconsuete, trasgressive e impertinenti.

 

 

 

L’utilizzo in educazione di materiali non convenzionali (loose parts) nella prospettiva dell’arte effimera può generare riflessioni interessanti anche sulle azioni educative e prassi pedagogiche, portando all’adozione di una postura di “attesa non passiva”, capace di cogliere la categoria dell’effimero, di cercarlo e di sostenerlo. Elisabetta Biffi parla di una sorta di “improvvisazione” educativa che però necessita di uno sguardo molto raffinato e preparato a cogliere e raccogliere tutti quegli apprendimenti che accadono al di fuori di quanto preventivamente predisposto e progettato: apprendimenti “imprevisti” e “impertinenti”, ovvero fuori dagli schemi (dell’adulto) ma comunque importanti, legittimi, ricchi.

 

 

 

Immagini dall’archivio fotografico dell’asilo nido Girasole di Cinisello Balsamo

 

 

 

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