Dal frequentare all’abitare. Brevi riflessioni intorno allo spazio

Educazione e sviluppo infantile, Nido

 

di Simona Vigoni, pedagogista, direzione scientifica PF06

 

 

Lo spazio si pensa, i luoghi si abitano. Lo spazio si attraversa, nei luoghi si sosta. Lo spazio è l’astratto, il luogo il concreto. Tuttavia, il luogo non è solo uno spazio determinato, particolare, definito da coordinate precise. Il luogo è qualcosa che ha a che fare con la memoria, con le emozioni e con il desiderio. (…) i luoghi sono una trama intessuta di rapporti. I luoghi stanno alla storia vissuta, come lo spazio sta al tempo cronometrato. Perciò, mentre i luoghi si riconoscono – si odiano e si amano -, gli spazi semplicemente si misurano. Ne consegue che i luoghi siano, in prevalenza, figure della differenza e della qualità, gli spazi dell’uniformità e della quantità. Nel luogo domina il significato originario del raccogliere e del riunire, nello spazio quello dell’intervallo e, quindi, della separazione, del confine e del conflitto. Ma se anche, per legge, posso farti spazio o negartelo, è solo nel luogo che ti posso accogliere. È solo qui, dunque, che l’ospitalità può aver luogo” (Tagliapietra, 2005)

Un brano ricchissimo, evocativo e suggestivo da cui partire per cominciare, nei nostri servizi, a “ragionar di spazi”. Mi limito qui a fare qualche piccolo affondo, poi lascio a ciascun lettore e a ciascuna lettrice di continuare il dialogo, sperando che la lettura possa generare altre riflessioni, confronti, dialoghi intorno al nostro “terzo educatore”. Per me, ogni rigo di questo breve capoverso, apre possibilità di riflessione infinita. Allora apro il flusso del mio ragionamento, cominciando a portare l’attenzione sul peso specifico che le parole possiedono, le parole che abitano le nostre scritture pedagogiche e quelle che ricorrono nel vocabolario degli adulti che abitano in un servizio e che, giorno dopo giorno, costruiscono il lessico familiare di quel servizio.

C’è una bella differenza a parlare di spazio nel senso cartesiano e di luogo, come luogo vissuto.

“Lo spazio si pensa i luoghi si abitano”. Allora si potrebbe aggiungere che i luoghi si abitano e non si frequentano. Proprio in questi primi giorni di ambientamento, di riapertura dei servizi, la parola frequentare “insidia”  e si “insedia” nel nostro vocabolario diventando, giorno dopo giorno, lessico familiare. “Mario frequenta da settembre, Giovanni frequenta dall’anno scorso, Maria non frequenta più…” Eppure, non trovate anche voi che l’abitare sia ben diverso dal frequentare?  Credo che il frequentare porti con sé il sapore sciatto di alcune relazioni in cui non abbiamo ancora deciso di investire o, forse, in cui non investiremo mai: non si dice forse “ci stiamo frequentando”?

Più avanti, Tagliapietra scrive: “il luogo è qualcosa che ha a che fare con la memoria”, la storia vissuta. Allora come si può colorare di memoria uno spazio affinché possa trasformarsi in luogo? In un luogo abitato?

Penso alle tracce lasciate dai bambini e dalle bambine, quelle verbali e quelle materiche, vere e proprie raccolte di materiale tra il dentro e il fuori, progetti in costruzione, immagini evocative e rievocative di esperienze. Penso alla documentazione che altro non è che, ragionando in termini spaziali, uno spazio di pensiero, capace di generare altri pensieri, proprio perché condiviso. Quale spazio occupa la memoria nei nostri servizi? Quali tracce rendono visibile la presenza non solo dei bambini e delle bambine ma anche delle loro famiglie?

Vengo all’ultimo pezzo che estrapolo da questo brano: “nel luogo domina il significato originario del raccogliere e del riunire, nello spazio quello dell’intervallo e quindi della separazione, del confine”.

Risuona in queste parole, un tema a me caro che è quello dell’attraversamento di soglie, e quindi di possibile dialogo e contaminazione tra il dentro e il fuori. Il pensiero fluttua tra queste parole: flessibilità, permeabilità, osmosi. Quanta possibilità hanno i bambini e le bambine di attraversare soglie tra il dentro e il fuori? E tra il dentro e il dentro? Possono dialogare due contesti prossimi, apparecchiati, lì, proprio uno accanto all’altro, o il gesto del bambino e, conseguentemente il suo pensiero, deve rimanere “confinato” nel punto scelto, preparato, predisposto dall’adulto? È permesso portare, tras-portare, tras-locare altrove il materiale riposto nel contesto della costruttività per poterlo combinare, con altro materiale dislocato altrove? Come potrebbe altrimenti il bambino moltiplicare i suoi pensieri? Come potrebbe farlo in assenza di permeabilità, nello spazio della separazione, della divisione, della marcatura dei confini?

Dove abita dunque l’educazione? Nei luoghi del cambiamento e delle possibilità, nei luoghi dell’ospitalità e dell’accoglienza, nei luoghi della sosta e dell’oltre-passamento, nei luoghi di esperienza e della costruzione di legami. Perché quel luogo diventi parte di noi e parte di un tutto che siamo anche noi. Dentro, fuori e tra.

 

 

 

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