Il tempo dei bambini

Educazione e sviluppo infantile

 

di Marta Arduino, pedagogista

 

 

E’ decisamente frequente, oggi, sentire dire: “Non è importante la quantità di tempo che si passa con i bambini, piuttosto importa la qualità”. L’ho detto anche io a qualche genitore a cui ho prestato la mia consulenza. E l’ho pensato da madre che lavora e che fa i salti mortali per passare del tempo con i propri figli.

Siamo proprio sicuri che il “tempo di qualità” esista? Le occasioni che ci sforziamo di creare per trascorrere dei momenti “stra-ordinari” con i nostri figli sono davvero momenti preziosi per loro? Proviamo a domandarcelo ed a riflettere su questa domanda.

Ho recentemente letto un’intervista ad una pedagogista che parlava di “tempo di qualità”. Si diceva che è molto importante, per una madre che lavora, tornare a casa, lasciar perdere ogni altra cosa e dedicare del tempo ai propri figli. Mi ha colpito, in questa intervista, una frase: “quando tornate a casa con i bambini da scuola o dal lavoro, spegnete i telefoni, isolatevi dal mondo e passate almeno mezz’ora insieme a loro. In quel tempo null’altro deve impensierirvi. Non chiedete ai piccoli cosa vogliono fare ma siate voi propositivi, chiedendo ti va di giocare a…?”.

E che succede se quel bambino in quel momento di giocare non ne ha voglia? Se si sta rilassando e basta? Che succede? Deve giocare per compiacere il genitore?

E’ interessante e fa riflettere ciò che sostiene Alice Miller nel testo “Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero sé”.

Per l’autrice, “il dramma del bambino dotato” (quello che è l’orgoglio dei suoi genitori) ha origine nella sua capacità di cogliere i bisogni inconsci dei genitori e di adattarvisi, mettendo a tacere i suoi sentimenti più spontanei (rabbia, indignazione, paura, invidia) che risultano inaccettabili ai “grandi”. In tal modo viene soffocato lo sviluppo della personalità più autentica e il bambino potrebbe soffrire di insicurezza affettiva e di una sorta di impoverimento nella personalità. Da adulto, secondo l’autrice, questo bimbo potrebbe essere depresso oppure nascondersi dietro ad una facciata di grandiosità maniacale. Gli innumerevoli esempi che l’autrice riporta documentano la sofferenza inespressa di questi bambini e, al tempo stesso, le grandi difficoltà dei genitori nell’essere veramente disponibili verso i figli.

Se ci aspettiamo che il nostro bambino faccia qualcosa secondo i nostri desideri, e reiteriamo un atteggiamento di questo tipo, corriamo il rischio di provare, se questi non si adegua, un forte senso di delusione ed è fortemente probabile che le conseguenze della nostra delusione ricadano su di lui. Ed è probabile, anche, che genitori e figli non abbiano più un grande piacere nell’incontrarsi, ma si temano, entrino nell’ansia dell’incontro reciproco. I genitori, così, possono diventare ansiosi, impazienti, nervosi, rancorosi. Ed infelici. Proiettando l’infelicità sui figli.

Vogliamo questo?

Vogliamo che il nostro bambino giochi con noi perché abbiamo deciso che questo è “tempo di qualità”? E perché siamo compiaciuti di aver creato un’occasione ai nostri occhi speciale? Ai nostri occhi. Non necessariamente a quelli del bambino.

Proviamo a metterci nei suoi panni, allora. Nel panni di lui che, magari, al rientro del genitore, sta facendo qualcosa che gli dà molta soddisfazione e lo fa stare bene. Perché un bambino può essere appagato anche se non è in compagnia di mamma e papà. Siamo certi di volere negare momenti di soddisfazione per creare quello che noi pensiamo sia un “momento di qualità”?

Proviamo a considerare che cos’è il tempo per i bambini.

E’ qualcosa di diverso dal tempo degli adulti. E’ il presente, il qui ed ora, mentre gli adulti sono sempre proiettati verso il futuro. Impegni, scadenze, progetti. Oppure sono ripiegati sul passato. Sconfitte, rimorsi, perdite. 

Il medico e pedagogista Janusz Korczak, nel suo saggio “Il diritto del bambino al rispetto”, afferma che i bambini sono portatori di alcuni diritti fondamentali.

Il primo è che bisogna rispettare il loro tempo. Che è il presente. Cioè il tempo opportuno, il kairós per i greci. Che lo contrapponevano a krónos, ovvero il tempo di necessità, raffigurato, non a caso, come un dio che divora gli uomini, espressione della Storia e della sua catena di eventi luttuosi. Il bambino vive le sue giornate con passione, in piena naturalezza. Vuole solo essere felice, giocare, esprimersi liberamente, fare quello che desidera.

Il bambino poi, come sostiene Korczak, ha diritto a essere ciò che è, non di essere snaturato. Lasciamolo, pertanto, vivere il suo tempo opportuno. Se sta giocando in giardino con le formiche, non portiamolo, per esempio, ad un laboratorio in cui si costruisce il famoso “barattolo della calma” insieme a noi. Perché in questo modo non gli consentiamo di vivere il suo tempo opportuno.

Quando un bambino gioca, vive il suo tempo opportuno e il suo spazio proprio. Perché violare tutto ciò? Proviamo a rispettare il tempo dei bambini. E a rispettare il loro spazio. La loro originalità. Cerchiamo di non riempire la loro vita di scadenze, attività, compiti. Di non inzeppare le loro agende quotidiane in nome del “tempo di qualità”. Accompagniamo, piuttosto, i nostri figli nei loro percorsi di libertà.

Se guardiamo da questa prospettiva, il tempo con i figli non è, come spesso i genitori mi riportano nei colloqui di consulenza, un dovere, un gesto di responsabilità (con tanto di sensi di colpa quando si è assenti, non sempre giustificati), bensì  come un piacere, un atto di libertà prima che di amore. Cambiare i pannolini, magari, non è il massimo della vita, ma riuscire a giocare con i bambini mentre li cambiamo, per esempio, seguirne l’evoluzione e anche le sorprendenti riposte che spesso ci danno, oppure raccontare e farsi raccontare storie, non solo favole, quando ne abbiamo e ne hanno voglia, sono certo piaceri più che doveri.

Per non parlare della gioia, delle risate, della leggerezza che arrivano, per esempio, dallo stare insieme a tavola, a cena, a scambiarsi sfoghi, battute, narrazioni. A litigare, a ridere e sorridere. Un piacere vero, infinitamente superiore al gioco forzato e “di qualità”. Un piacere contagioso in quanto, se è davvero tale, diventerà desiderio di tutti, genitori e figli, di stare insieme.

Tutto questo mi sento sempre di dire ai genitori che si affannano per creare occasioni di qualità con i loro figli. Da pedagogista esperta della prima infanzia. E, non lo nego, da madre che lavora e che ha vissuto su di sé le medesime fatiche.

 

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