La linea del tempo: indizio sulla qualità del servizio

Nido, Scuola dell'Infanzia

di Jessica Omizzolo, coordinamento psicopedagogico 0-6, formatrice PF06

 

 

Che cos’è la linea del tempo?

Il luogo dentro il quale bambini ed educatori si muovono lungo la giornata a scuola.

Il modo in cui viene scandito il tempo, come vengono attraversate le routine, che valore viene dato al gioco libero del bambino.

Indicatore che racconta, quindi, quali idee di educazione si hanno e quali sono i valori che la scuola porta avanti.

Sarebbe possibile comprendere se una scuola ha uno stile più o meno direttivo, più o meno centrato sull’autonomia e l’autorealizzazione solo facendosi raccontare la linea del tempo? Bhe diciamo che la risposta potrebbe essere SI’. E’ un indizio forte di come pensiamo la scuola e di come la “impostiamo” per (o CON) i bambini che la vivono con noi. Una di quelle implicite comunicazioni che arriva tra le righe a tutti: alle famiglie, ai bambini, ai professionisti dell’educazione.

Prestarvi attenzione ed analizzarne i risvolti sia pratici che teorici è un buon punto di partenza per avviare percorsi di cambiamento, autonalisi e ricentratura affinchè ideali educativi e prassi possano sempre più corrispondere.

I teorici del Lavoro Aperto* ne hanno lungamente parlato ed affrontato le possibilità di cambiamento che permettano alle scuole di aprirsi prima di tutto all’idea che esistano altre strade, altri modi di attraversare le soglie temporali. Se è vero che l’organizzazione del tempo è importante e fondante i servizi è altrettanto vero che l’idea di una linearità a step rigidi predefiniti ritmici viene da un’abitudine acquisita nel corso degli anni lavorativi più che da una necessità di quel gruppo di lavoro, bambini e famiglie comprese.

Quello che possiamo davvero fare è riflettere sui valori fondanti la scuola e analizzarne i risvolti pratici, venire a patti con l’organizzazione a favore del benessere e della realizzazione di quegli stessi valori. E possiamo farlo insieme, Percorsi Formativi 06 ha questo grande potere di creare reti e fili dove ci si possa supportare e crescere vicendevolmente.

Nei servizi per i quali lavoro come coordinatrice, supportate dalla formazione, abbiamo aperto riflessioni, prima ancora che stanze e luoghi da abitare per i bambini, ci siamo messe in gioco sui temi dell’organizzazione valutando l’indispensabile e il modificabile, abbiamo affrontato le nostre resistenze e insieme annotato possibilità, provato vie, attraversato soglie. Le linee del tempo sono cambiate e con esse il respiro al loro interno.

 

“Alla fine, ciò che conta non sono gli anni della tua vita, ma la vita che metti in quegli anni”

Abraham Lincoln

E’ importante prendere in considerazione che, se scegliamo di rispettare l’autonomia dei bambini, permettere loro di avere tempo per realizzare le loro idee rispettandone il progetto iniziale, se scegliamo di essere adulti supportivi e non direttivi che creano l’ambiente adatto allo sviluppo, allora non possiamo non mettere mano alle nostre organizzazioni giornaliere non solo nei contenuti, cambiando, togliendo, aggiungendo, modificando materiali e proponendone altri, ma anche mettendo in discussione i colossi routinari e ri-flettendoli di nuovo, insieme.

Spesso sottovalutiamo le informazioni implicite che inviamo attraverso il contesto che è invece da considerarsi il “terzo educatore” ed ha, dunque, un potere d’influenza forte.

Spazi, tempi e materiali devono essere accuratamente studiati, pensati e progettati per sostenere, in ogni bambina e bambino, la spontanea espressione del sé.

“…i fattori di ordine extrapsicologico (fisici, geografici, urbanistici, sociali…) influenzano l’ambiente psicologico e, attraverso ad esso, il comportamento individuale di gruppo…Se si considera l’ambiente in quanto ambiente psicologico, il comportamento di un individuo dipende sia dalle sue caratteristiche personali, sia da quelle dell’ambiente” (D.Varin cit. in Piaggesi, Franceschini, 2008)

Se mettiamo al centro della nostra riflessione lo sviluppo dell’autonomia del bambino e del suo pensiero divergente dobbiamo, necessariamente, analizzare e mettere in discussione il tempo e i modi con i quali questo tempo viene proposto ai bambini.

Nelle scuole con le quali lavoro come coordinatrice siamo partite dall’analizzare le dichiarazioni d’intenti, le carte dei servizi, i valori dichiarati e fondanti…quello in cui crediamo e che proponiamo alle famiglie quando accedono al servizio. Ci siamo domandati se ci corrispondevano internamente come professionisti, se stavamo attuandole con il lavoro quotidiano.

Affrontare il fatto che esisteva una discrepanza tra quanto ci piaceva pensare di sostenere e quanto, diversamente, riuscivamo a sviluppare fu un passo decisivo quanto difficile e destabilizzante.

Quando ci si mette in formazione è importante essere poi guidati e sostenuti dai propri coordinatori, pedagogisti, consulenti per tradurre in azioni e pensieri pratici quanto trattato negli incontri, preziosi ma radi, con il formatore scelto. La formazione, infatti, ha valore solo se davvero viene calata nel contesto quotidiano, se ne comprendono i principi, il significato e le ricadute e si valuta, con grande onestà, in che cosa si può mettersi in gioco.

Quello che è capitato a noi è che, ad un certo punto, le riflessioni sono andate a toccare profondamente il nostro agire quotidiano tanto da mostrarci che alcune delle “abitudini” che attuavamo inconsapevolmente non favorivano affatto i principi che stavamo promuovendo verbalmente.

Per esempio: se supportiamo l’autonomia e vi crediamo fortemente ed una delle modalità dichiarate  è “ favorire l’autoconsapevolezza dei propri bisogni corporei, emotivi…” e poi siamo noi a dare un orario preciso per andare a fare la pipì…qualcosa non torna. Se teniamo tanto allo sviluppo dell’autoconsapevolezza dobbiamo renderci conto che il bisogno deve nascere da dentro e dobbiamo sostenere nel bambino la capacità di riconoscerlo, dichiararlo ed espletarlo nel migliore modo possibile adeguato a se stesso e al contesto. Questo esempio che sembra piccolissimo ha cambiato radicalmente il modo di approcciarsi al momento del bagno nelle scuole. Se prima alle 9.30 tutti i bambini venivano invitati a recarsi in bagno a fare la pipì.  Tutti. Nessuno escluso. Ora lo step non esiste più. Gradualmente (fondamentale per i bambini già frequentanti e che hanno vissuto nei servizi 2-3-4-5 anni…allenati quindi, quanto noi, a certe “abitudini”) adulti e bambini si sono allenati insieme a riconoscere il bisogno di ognuno e a recarsi in bagno al momento in cui questo emerge.

“Maestra vado in bagno”, informare, non chiedere il permesso.

Lo specifico perché se chiediamo ai bambini di essere autorizzati ad espletare un bisogno primario fondamentale significa che NON stiamo affatto promuovendo la loro autonomia e la fiducia reciproca, che stiamo, anzi, mantenendo un sistema di filtraggio e controllo di quali bisogni sono autorizzati e quali no. Fare la pipì non può essere autorizzato, accettereste voi che qualcuno vi dica per quanto tempo trattenere e quando recarvi alla toilette? Ne dubito anche perché non dipende dalla vostra volontà ma da un emergere fisiologico interno che non potete  fare altro che riconoscere e assecondare. Ecco vale anche e soprattutto per i bambini che, crescendo, debbono allenarsi a distinguere i vari segnali del corpo, imparare quali sono controllabili, procastinabili, rinunciabili per altre priorità e quali invece sono inderogabili.

Ecco, così come con il cibo…la scuola ha naturalmente dei momenti organizzativi che non sempre sono modificabili. Al momento nel Comune dove lavoro non è attivabile un ragionamento alle alte sfere sul proporre la mensa aperta per tre ore e i pasti a scelta dei bambini dentro a quella fascia oraria (è possibile in alcune strutture che ho visitato in Italia e all’estero) ma ci è stato comunque possibile, analizzando sempre il principio di autoconoscenza, le prassi attuate e quelle attuabili, apportare modifiche.

A scuola, lo dico sempre ai genitori, quello a cui teniamo non è che i bambini mangino tutto ma che i bambini imparino a riconoscere SE hanno fame o meno, cosa piace o non piace loro, e che apprendano il piacere dell’esperienza senza costrizioni.

Questo concetto mette spesso in crisi molti genitori ma ancor più molte insegnanti ed educatrici (soprattutto al nido infatti dove i bisogni fondamentali devono essere intuiti dall’educatore e promossi piano piano affinché si affaccino al cognitivo del bambino). Non significa non proporre ma modifica le modalità con le quali lo si fa e sottolinea l’importanza quotidiana di lavorare sugli stili comunicativi, anche sugli impliciti.

Per esempio se il cibo viene messo a disposizione dei bambini: sporzionarlo da soli, dopo averlo potuto guardare e vedere bene, scegliere tra primo secondo e contorno, cosa prendere e quanto prendere, ma avendo per esempio a disposizione un piatto a tre scomparti…non è già questo un suggerimento di contesto che incoraggia il bambino ad assaggiare tutto? E poi l’educatore seduto a tavola sta assaggiando tutto? Come commenta e chiacchiera su questo tema con i bambini presenti al suo tavolo? Come conversa sulle scelte dei bambini? Come favorisce il dialogo su questo tema?

Un lavoro, quello dell’adulto, che ho preso a chiamare “dal basso” ossia mai calato dall’alto di un sapere pre-supposto dettato dal ruolo e dall’età ma al servizio invece del sapere ampio, stratificato, in fieri dei bambini.

Domande e meno risposte, silenzi attenti ed osservanti anche, che raccolgono informazioni, spunti ed idee e li traducono ai bambini attraverso fotografie, materiali differenti o combinati in modo diverso, proposte, libri, riorganizzazione di spazi riflettuti in assemblea..

Dettagli direte voi. Dettagli di approccio ad ogni sfera delle prassi operative che rendono gli “operatori in educazione” più consapevoli e nel tempo più competenti, attenti osservatori, comunicatori adeguati ai valori che vogliono supportare.

Percorsi, questi, che passano dall’individuo adulto, che richiedono un lavoro su se stessi e di equipe, una supervisione e una buona guida da parte dei coordinatori che tengono il filo e la sponda, formazione continua.

Autoconsapevolezza  e coerenza insomma. Prima di tutto degli adulti.

 

*Lavoro aperto: a scuola i bambini lavorano per gruppi di interesse e non per sezioni o gruppi eterogenei/omogenei. Gli spazi sono tutti “giocabili” ed organizzati in laboratori ad accesso libero ed atelier. In questo modo l’equipe di insegnanti ed educatori coopera, si confronta, osserva i bambini da tanti punti di vista, offre ai bambini più opportunità relazionali e di apprendimento in un contesto dove il bambino è protagonista attivo ed autonomo del suo percorso di crescita. 

 

Letture consigliate per partire dai bambini:

https://percorsiformativi06.it/il-modello-evolutivo-dei-bisogni-e-tu-di-cosa-hai-bisogno/

https://percorsiformativi06.it/destrutturato/

https://www.comune.fano.pu.it/index.php?id=2901&tx_ttnews%5Btt_news%5D=9033&cHash=a5525070493bc8a7d266792ea3f34fec

https://percorsiformativi06.it/la-mente-dei-bambini/

https://percorsiformativi06.it/118763-2/

 

Corsi su questi temi:

A Rimini (ma anche Torino, Milano, Firenze) una proposta per coordinatori : https://percorsiformativi06.it/destrutturare-rimini-coordinatori/

 

 

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