Come coinvolgere i genitori al nido: consigli per educatrici ed educatori

Educazione e sviluppo infantile

 

di Caterina Livani e del gruppo Papaveri del nido d’Infanzia Alice di Sesto Fiorentino

 

 

Molte volte ci chiediamo come coinvolgere i genitori al nido e in che modo trattare le tematiche più delicate.

In questo articolo la collega Caterina Livani, educatrice del gruppo Papaveri del nido d’Infanzia Alice di Sesto Fiorentino, racconta la sua esperienza e dona suggerimenti utili per coinvolgere i genitori al nido e spiegare loro le dinamiche, talvolta complesse, della vita di bambini e bambine.

Caterina prende come esempio il tema, sempre caldo, del conflitto e dei morsi e spiega come creare un momento di condivisione finalizzato al benessere di genitori, bambini e bambine – e anche di noi educatrici ed educatori -, partendo dall’esperienza vissuta al nido.

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Come coinvolgere i genitori al nido e il case study del gruppo Papaveri

Organizzare un incontro con le famiglie sul tema del conflitto e dei morsi ci è sembrato, ad un certo punto, necessario.

Siamo il gruppo Papaveri del nido d’infanzia Alice di Sesto Fiorentino.

Alle prese per la prima volta con l’esperienza di un gruppo eterogeneo, proviamo a sostenere bambini, bambine e genitori nel traghettamento di mari talvolta agitati. E a sostenere noi stesse.

Durante il primo incontro con i genitori nel mese di settembre avevamo accennato al tema del conflitto e dei morsi: è possibile che accada.

La relazione con l’altro e con l’ambiente smuove emozioni fortissime che verranno agite. Non vi sarà intenzionalità né aggressività, ma sarà una fase che vedrà manifestare tali emozioni con i morsi e avrà bisogno del sostegno di tutti noi adulti.

Noi – educatrici, educatori, insegnanti –, sappiamo che passerà: se facilitati questi bambini e bambine impareranno “a dirlo con le parole”.

Sappiamo che i morsi sono soltanto una piccola parte delle esperienze vissute al nido. C’è dell’altro.

I bambini e le bambine si organizzano da soli, cercano il contatto dandosi la mano e fanno un grande girotondo senza l’aiuto dell’adulto!

Ma ti rendi conto di quanto sono capaci? E vedessi come ridono e come si divertono!

Si, vabbè… Però poi è scappato un morso.

 

Quali sono le fatiche dei bambini

Quanta fatica nel confronto! Imparare a rispettare l’altro, a condividere affetti e spazi, ad avere un po’ di pazienza perché i tempi non sono soltanto i miei, ma anche quelli del mio compagno, compagna e del gruppo. Per non parlare di questi nuovi arrivi: con loro c’è la mamma, ricevono attenzioni speciali, le mie educatrici li coccolano. Ci dicono: ti vogliamo tanto bene, ma da oggi c’è anche lui/lei.

 

E quali sono le fatiche degli adulti

Mio figlio torna a casa segnato. Una, due, tre volte.

Il mio, invece, non risparmia nessuno! Appena passa un amichetto… zac! Molla il morso, talvolta senza senso.

E quelle di noi educatrici che, invece, dovremo raccontare a quei genitori che oggi il livello di conflitto è stato alto. Che sono scappati dei morsi.

 Le fatiche sono nodi che vengono al pettine. Se districati in tempi adeguati, si risolvono senza creare danni. Se lasciati a sé stessi, formano matasse difficili da sciogliere. Quando i nodi di bambini e bambine si intersecano e si intrecciano con quelli degli adulti, le fatiche diventano sofferenze.

Abbiamo quindi pensato di incontrare le famiglie per una riflessione di cura condivisa, invitandole a partecipare a un incontro dal titolo: So-Stare nel Conflitto per Promuovere il Contatto.

 

Coinvolgere i genitori al nido con una nuova modalità di relazione

I genitori dei bambini già frequentanti sono abituati a incontri che non appartengono alla sfera della formalità. Negli anni passati era nostra abitudine utilizzare attivatori quali albi illustrati o giochi rompighiaccio.

La formazione “- alla quale abbiamo partecipato lo scorso anno con i colleghi dei servizi 03 e 06 della Zona Nord-Ovest di Firenze e condotta dal Prof. Antonio Di Pietro per Percorsi Formativi 06 -, ci ha concesso di riflettere su nuove modalità di relazione con le famiglie e ci ha fornito un’utile cassetta degli attrezzi.

Gli strumenti condivisi ci hanno permesso di gettare il cuore oltre l’ostacolo, di diventare più creativi, di utilizzare il linguaggio ludobiografico per permettere agli adulti di raccontarsi attraverso il gioco.

In questo modo è stato naturale coinvolgere anche i genitori dei bambini appena arrivati e la partecipazione è stata veramente altissima. Dei ventitré bambini e bambine frequentanti, hanno partecipato ben venti genitori, molti dei quali in coppia. Una trentina di persone in tutto.

Il setting dell’incontro è stato predisposto in maniera tale che tutti potessimo guardarci negli occhi e stare comodi.

Abbiamo:

  • riflettuto non soltanto sull’ambiente fisico che ci avrebbe ospitati, ma sul contesto generale e relazionale,
  • pensato al clima emotivo, alle norme di comportamento, chiesto di silenziare i cellulari e prendersi un tempo dedicato,
  • ragionato sugli obiettivi che ci ponevamo e sulle motivazioni di questo incontro.

 

Le riflessioni di partenza: educatrici ed educatori sono facilitatori di cambiamento

Preparare questo incontro ci ha portate a fermarci per esplicitare e ri-condividere nel gruppo di lavoro e con la coordinatrice i valori pedagogici di riferimento.

Partiamo dal presupposto che crediamo nella tendenza attualizzante dell’essere umano, quindi del genitore e del bambino. Ogni individuo è il miglior esperto di sé stesso, ciò significa che lo è anche la diade. Questo ci permette di aver fiducia nel fatto che l’altro evolverà al meglio sulle proprie potenzialità.

Ogni essere umano è immerso nella sua esperienza attuale e non può che partire da essa per formulare le sue percezioni e le sue idee. Dobbiamo avere un rispetto profondo per il modo di essere delle persone che incontriamo e ricordarci che siamo all’interno di un processo che è in continuo divenire.

Per questo è importante porci su un piano democratico e non superiore al genitore. Tale principio ci permette di accettare il modo attuale di essere di un genitore e di un bambino, nella speranza che questo, in un clima facilitante, possa procedere verso il cambiamento nella direzione delle sue potenzialità di sviluppo.

Riteniamo poi che sia necessario porsi delle domande.

  • Dove sono io?
  • Come mi sento?

Cercare prima di tutto il contatto con sé stessi, con ciò che avviene dentro di noi. Se non succede, il rischio è attribuire all’altro qualcosa di nostro (il bimbo è birbone, agitato, incontenibile, il genitore non è capace) ed ecco che scatta il giudizio.

  • Inoltre: quello che sto facendo serve a me o serve a lui?

Ricordiamo che, come educatrici ed educatori, siamo chiamati ad avere uno sguardo di cura e non direttivo nei confronti dell’altro.

Siamo in una relazione di aiuto e di facilitazione: è importante predisporsi ad accettare l’altro in maniera positiva e incondizionata. Non è buonismo, ho i miei valori, i miei vissuti, ma ti accetto per quello che sei, sospendendo il giudizio.

Il nostro è anche un lavoro di ascolto empatico.

  • Sono capace di vedere il mondo con gli occhi dell’altro, come se fossero i miei, ma senza identificarmi?
  • Riesco a percepire i significati che l’altro dà alla sua esperienza, ad essere uno specchio per lui, così da poterlo aiutare e facilitare?
  • Sono autenticamente e intenzionalmente interessato a comprendere l’altro proponendo una relazione che accompagna e non giudica, che facilita il processo di auto-esplorazione del genitore, l’elaborazione all’interno di un processo personale e di comunità?
  • Quali sono i limiti e le difficoltà che incontriamo quotidianamente nell’applicare tutto questo?
  • I limiti sono le nostre difficoltà personali. Per questo ci chiediamo: cosa dice di me questa difficoltà? Cosa dice di me il giudizio che scatta nei confronti di un bambino, bambina che morde, di un genitore che va in ansia?

Quando riusciamo a porci queste domande, a condividerle nel gruppo di lavoro, significa che possiamo consapevolizzare i nostri pensieri e fare uno scatto di crescita nel nostro modo di essere facilitatori di cambiamento.

Riassumendo: siamo capaci di far sentire l’altro oggetto di cure e accettato esattamente per ciò che è?

 “Grazie a Dio, qualcuno mi ascolta. Qualcuno sa cosa vuol dire essere me” [1].

Quali erano le nostre intenzioni nel gruppo?

  • Avere un ruolo di facilitatori, agendo come persone e non come specialisti.
  • Entrare nella cornice di riferimento di ciascun genitore e del gruppo, con una comprensione empatica.
  • Garantire un clima non giudicante e accettante (questo lo comunichiamo all’inizio di ogni incontro).
  • Avere e mantenere un adeguato contatto con noi stessi.
  • Proporre una relazione che accompagna, ma non guida.
  • Essere insieme, famiglie ed educatori.

E, in effetti, pensiamo di essere riuscite a stare sul sentimento, non sui fatti. Sulla persona e non sul problema.

 

Come abbiamo condotto l’incontro con i genitori al nido

L’incontro è iniziato con qualche minuto di respiro consapevole guidato da un’educatrice. Attraverso la respirazione consapevole abbiamo provato a predisporci a comprendere in modo più profondo, nel qui e ora, la nostra situazione emotiva. Abbiamo immaginato il respiro come un’ancora che ci teneva ormeggiati al momento presente e ci siamo concentrati sull’ascolto dell’onda del nostro respiro.

 

Chiedere ai genitori di giocare

Seduti comodamente in cerchio, al centro della stanza avevamo predisposto una decina di giochi e materiali destrutturati. Abbiamo invitato i genitori a interagire con questi materiali come se fossero per loro cose preziosissime.

Dopo qualche momento di imbarazzo e ilarità, ognuno ha utilizzato quello che preferiva. Due mamme hanno simulato il conflitto per il possesso di un passeggino, una è scappata più lontano con la bambola. Qualcuno ha giocato insieme, qualcun altro ha rubato la palla di mano. Siamo tornati a sedere e abbiamo ascoltato in silenzio quello che stava accadendo dentro di noi.

 

Chiedere ai genitori di non usare le parole per spiegare

Seconda richiesta: abbiamo ripetuto lo stesso gioco, senza usare le parole. Non potete parlare. Qui la faccenda si è complicata perché interagire in silenzio, tra adulti, non è semplice. Poi, però, sono riprese le interazioni e, talvolta, anche simulazioni di conflitti.

Di nuovo a sedere per sentire cosa risuonava dentro. Stavolta abbiamo invitato i genitori a chiudere gli occhi e a immaginare che, al posto dei giochi, vi fossero oggetti personali ai quali loro tenevano molto: l’agenda degli appuntamenti, l’orologio, il cellulare, il portafogli. E che gli altri genitori decidessero di utilizzarli nei modi più disparati e a loro piacimento.

Come si sarebbero sentiti in una situazione simile?

 

Chiedere ai genitori di immaginarsi bambini

Ultima suggestione, chiudendo nuovamente gli occhi, abbiamo chiesto di provare a immaginare che la persona a loro più cara (marito/moglie, madre/padre) fosse in mezzo al cerchio. Che gli altri partecipanti gli si avvicinassero, si facessero coccolare, prendere in braccio, baciare, consolare. E che questa persona dicesse loro: ti voglio tanto bene, ma da oggi voglio bene anche a lui.

Come ti sentiresti?

 

Cosa è successo?

Dopo aver riaperto gli occhi, abbiamo posto una sola domanda. Cosa è successo?

Questa breve frase ha aperto molteplici riflessioni e scambi. Si avvertiva il desiderio di raccontarsi e di mostrare di aver compreso che i bambini e le bambine erano immersi nel quotidiano in una realtà che non era simulazione, ma vita vera.

La prima domanda che ci è stata posta, infatti, è stata la seguente: “Ma come fate? Abbiamo fatto come se fossimo i bambini, le bambine, e non lo siamo”.

La seconda domanda è arrivata dritta al cuore: voi come state?

Una riflessione personale: ho trovato queste tre parole un gesto di cura immenso e non scontato. Ci ha permesso di raccontare in maniera trasparente anche le nostre fatiche, condividendo la necessità di essere insieme e di trovare un significato comune e condiviso al termine conflitto. Abbiamo convenuto sul fatto che non è sinonimo di guerra e di violenza, come talvolta passa nella comunicazione, ma afferisce alle relazioni ed è necessario e utile se stiamo accanto ai bambini e alle bambine e li/le aiutiamo.

La soluzione? Sostenere il proprio punto di vista, anche litigando, ma gestendo le emozioni per imparare a riconoscerle, a nominarle, a esprimerle e non ad agirle. Per alfabetizzarsi, educarsi alle emozioni e diventare sempre più emotivamente competenti, per creare un ponte tra il conflitto e il contatto.

 

Coinvolgere i genitori al nido per promuovere il benessere

Ma sai che, alla fine, non abbiamo parlato molto del morso? Ovvio, abbiamo fatto riferimento ad alcune questioni riguardanti l’argomento, ma si percepiva con forza un calo di tensione e una predisposizione a raccontarsi, fiduciosi e accettanti.

La mamma di un bimbo mordace ha raccontato le sue difficoltà e le sue preoccupazioni ed è stata accolta e sostenuta da un’altra mamma che aveva vissuto la stessa esperienza con la prima figlia, mentre adesso con la seconda era nella posizione di mamma di bambina morsicata.

Il clima si è alleggerito e allo stesso tempo abbiamo avvertito il calore della vicinanza affettiva.

Così, abbiamo potuto salutarci con un gioco di contatto. A luci spente, con una musica rilassante di sottofondo, abbiamo invitato i genitori a creare due cerchi, uno esterno e uno interno. Spalla contro spalla, a occhi chiusi, i genitori del cerchio centrale hanno accolto le carezze sulle spalle, sulla schiena e sulla testa del gruppo esterno che girava loro intorno. Poi abbiamo invertito i gruppi.

Questo saluto è stato così gradito che ci è stato chiesto se fosse possibile programmare momenti di benessere per i genitori.

Ci siamo dette: perché no? La promozione del benessere è prevenzione a tutti gli effetti. Il nido è il luogo dove prima di tutto si accolgono le persone. Perché non accogliere la loro richiesta e il loro bisogno, dal momento che viene chiaramente espressa? Quante tensioni abbiamo sentito massaggiando quelle spalle!

Il giorno successivo, la nostra restituzione rispetto all’incontro è stata poetica.

Da una pagina dei preziosi riferimenti scaricati dal sito di Percorsi Formativi 06, abbiamo realizzato un Caviardage® e lo abbiamo donato ai genitori.

La poesia nascosta negli appunti è la seguente:

“Nel qui e ora,

emozioni e pensieri portano talvolta a vivere con fatica.

Semplicemente, accade.

Prendere con saggezza la giusta distanza, aiuta.”

 

Caterina

 

 

[1] Carl Rogers, Da un articolo del 1958; citato in Jeremy Rifkin, La civiltà dell’empatia: La corsa verso la coscienza globale nel mondo in crisi, traduzione di Paolo Canton, Mondadori, Milano, 2010, pag. 1

 

 

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