Educatrice/educatore di asilo nido: che ruolo svolge? E perché è così fondamentale?

Nido

 

 

Riportiamo qui in sintesi quanto si evince dai nostri ricchissimi Orientamenti per i servizi all’infanzia in merito alla professionalità dell’educatore e dell’educatrice dei servizi all’infanzia 03 con la consapevolezza ormai pienamente acquisita che il ruolo di “sostituto materno” un tempo attribuito a questa figura è stato ormai ampiamente superato.

“L’identità professionale degli educatori per la prima infanzia è oggi riconosciuta ed è il frutto di un lungo percorso di approfondimento culturale che già dalla prima istituzione dei nidi ha portato molte donne a rifiutare un’immagine del lavoro educativo in quei servizi come parziale sostituzione delle cure materne, a scoprire le competenze cognitive e relazionali anche dei più piccini, a riconoscere il servizio educativo come un luogo di socialità, in cui si intrecciano i comportamenti, le attività, le emozioni di bambini e adulti. È stato così che antichi pregiudizi sulla predisposizione naturale femminile a prendersi cura dei bambini piccoli, cui corrispondevano quelli sull’incapacità maschile nell’assumere questo compito, si è tramutata nell’affermazione orgogliosa di una professionalità, femminile ma non femminilizzata, da rispettare e valorizzare in quanto basata sulla qualità professionale indipendentemente dal genere di chi la esercita e, auspicabilmente, estendere sempre di più a figure maschili.” (Orientamenti per i servizi all’infanzia).

COME DIVENTARE EDUCATORE/EDUCATRICE?

Ma come si abbraccia questa nuova professione? Quali sono i percorsi da intraprendere se, usciti dalla scuola secondaria di secondo grado si pensa che si vorrebbe “lavorare con i bambini”? Non è certo a partire dal fatto che “ci piacciono i bambini” che si possa scegliere una professione coì ricca, sfaccettata, complessa e impegnativa. Il percorso dovrebbe orientarci ad allenare le competenze empatiche, le conoscenze sui bambini, sulle dinamiche relazionali e comunicative tra adulti, sul pensiero riflessivo e tanto altro ancora.

“La professionalità del personale educativo si basa, oggi, su una formazione di base universitaria specifica, finalizzata a promuovere conoscenze culturali e teoriche sulle diverse dimensioni dello sviluppo infantile tipico e atipico e sulla costruzione di contesti educativi inclusivi che tengano conto delle differenze (di età, di genere, di sviluppo, di stili di apprendimento, di appartenenza sociale e culturale…), competenze metodologiche e un’attitudine alla ricerca, che, nei laboratori e nel tirocinio, si coniuga con l’acquisizione della capacità di osservazione e interpretazione dei comportamenti dei bambini da zero a tre anni, di lettura dei vari contesti dei servizi educativi per l’infanzia, di progettazione e con la capacità di creare un collegamento continuo e critico tra conoscenze teoriche e pratica educativa. Tra le competenze richieste al personale educativo oggi ci sono anche quelle legate alla conoscenza delle opportunità offerte dal territorio e allo sviluppo di sinergie e collaborazioni proficue con altre figure professionali quali, ad esempio, psicologi e pediatri.” (Orientamenti per i servizi all’infanzia).

È un ruolo impegnativo che richiede la massima concentrazione sia da un punto di vista fisico che emotivo poiché l’empatia e la sintonizzazione diventano caratteristiche fondamentali per questa figura che deve essere anche in grado di sostenere i bambini e le bambine emotivamente in questo percorso di distacco e ricongiungimento dai caregivers, nello sviluppo delle autonomie, nella costruzione della competenza sociale.

Apertura a 360 gradi allora, flessibilità, pensiero critico, capacità di problem solving, creatività e competenze progettuali.

E i titoli di studio?

“L’articolo 14, comma 3, del D.lgs. 65/2017 prevede per l’accesso alla professione di educatore dei servizi educativi per l’infanzia il possesso della laurea in Scienze dell’educazione (L-19) ad indirizzo specifico o della laurea in Scienze della formazione primaria (LM-85bis) integrata da un corso di Specializzazione per complessivi 60 CFU. Il decreto ministeriale 9 maggio 2018, n. 378 declina le conoscenze e le competenze pedagogiche del personale educativo e dettaglia gli insegnamenti e le modalità di svolgimento del tirocinio per l’acquisizione delle stesse. Tale disciplina si applica a partire dall’anno educativo 2019/2020; la maggior parte degli educatori attualmente in servizio, pertanto, ha avuto accesso in base alla normativa regionale precedente che prevedeva titoli differenziati da Regione a Regione ed ha affinato le proprie competenze attraverso l’esperienza e la formazione continua.” (Orientamenti per i servizi all’infanzia).

Ma non basta formarsi una volta e chiudere i libri definitivamente.

“Questa formazione di base si consolida, nel corso dell’esperienza, attraverso la formazione continua in servizio, intesa come sviluppo professionale, nelle sue tante forme (ricerca-azione, discussione di gruppo di protocolli o di filmati, approfondimento di tematiche, supervisioni, webinar e corsi in modalità blended), nell’intreccio tra esperienza e riflessione, ricerca e pratica, e si approfondisce nel contesto specifico dei singoli servizi educativi attraverso il confronto e lo scambio continuo tra colleghi, con il coordinatore pedagogico, con operatori di altre istituzioni educative, docenti, ricercatori universitari e di centri di ricerca ed esperti in una prospettiva di continuità zerosei. Analogamente l’autoformazione, che si esercita anche negli incontri del gruppo educativo, riveste un ruolo fondamentale perché rappresenta il mezzo per lo scambio e il confronto di esperienze e interrogativi e per la costruzione di una visione coerente dei bambini, del loro sviluppo e dei percorsi di esperienza, per la condivisione della responsabilità educativa e la creazione di una comunità educante.” (Orientamenti per i servizi all’infanzia).

 

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